sabato 16 aprile 2011

“La fine dei vinti! Giovanni D’Avanzo, da gendarme a brigante” recensione di Marina Lebro dell'ultimo libro di Fiore Marro




NAPOLI - Il romanzo di Fiore Marro “La fine dei vinti! Giovanni D’Avanzo, da gendarme a brigante”, si presta a diversi piani di lettura, caratteristica questa atta a conferirgli un interesse tutto particolare nel panorama del romanzo storico.
La storia nella sua lettura immediata si presenta con un taglio asciutto da cronista, ed infatti il protagonista, la voce narrante, è quella di Paolino Amato, avvocato e giornalista dell’Osservatore.
Ma Don Paolino è anche un uomo che per vicende personali conosce  Giovanni D’Avanzo, ex gendarme ora implicato nel processo alla banda La Gala, suo amico d’infanzia, nei confronti del quale è legato da affetto profondo e un debito di riconoscenza.

Così parte come giornalista ad incontrare l’ex amico in carcere, con mille domande riguardanti l’intera vicenda di cronaca di per sé tremenda ed a tratti terribile.
Una vicenda che vede gli imputati accusati finanche di cannibalismo e che al di là dell’immaginazione tratta invece di fatti presi dalla verità degli atti processuali del tempo, essendo questo un romanzo storico che attinge a documentate vicende penali del 1863.Ma l’aspetto più interessante della narrazione di Fiore Marro è nella contrapposizione, sempre presente ma mai ostentata , tra etica e assenza dell’etica, onore ed abominio morale, a cui va ad inserirsi, come motivazione suggerita ma non imposta, non “strillata”, il legame tra perdita della propria identità culturale di appartenenza, e nascita, o meglio, ritorno alla barbarie umana, come a voler suggerire come possa essere facile, tolto il supporto culturale che ci guida, tornare ad essere fiere, ed a disconoscere la stessa sacralità del corpo, anche se del nemico, di cui ci si può tornare a cibarsi come ultimo affronto.
Ma in una lettura antropologica del testo vi si può anche scorgere nell’assimilazione delle carni del nemico il rovesciamento totale dei normali parametri, il livello zero della dualità vittima carnefice, dove il carnefice muore nella morte della vittima, a sua volta carnefice.
Anche le ultime guerre da quella dei Balcani a quella del Ruanda hanno visto compiersi questa stessa parabola verso l’inferno, perché sì di discesa agli inferi si tratta, perché cosa resta ad un uomo che ha perso con la propria terra il proprio senso di appartenenza al “gruppo” e con esso al mondo civile? La barbarie, quella autentica, non è quella del vinto,ma quella di chi lo ha ridotto tale derubandolo della propria Storia sociale, ed in quegli anni nelle nostre Terre è successo giustappunto questo …
Bravo l’autore nel tratteggiare i personaggi,dove fin dal Titolo, nella contrapposizione gendarme/brigante, riesce ad unire più che a dividere , bravo nel farceli intuire e percepire al di là del testo, con una capacità evocativa e narrativa tale da regalarci un quadro di Caravaggesca memoria, di ombre e luci.La memoria appunto, quella che non dobbiamo perdere, la memoria critica, quella che a volte dobbiamo andare a recuperare nel sonno della Storia ufficiale, grazie a romanzi come questo, capaci di parlarci di uomini e di riportare in vita le nostre radici …
Marina Lebro.

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