domenica 17 aprile 2011

Un calendario per la nostra memoria!

SORA - Bella l'iniziativa lanciata dal mensile "Vita ciociara", rivista di cultura, arte e attualità diretta dal Dott. Antonino Tuzi, che ha promosso la realizzazione e la diffusione di un calendario speciale in occasione del centocinquantesimo anniversario dell'unificazione politica della penisola. Il calendario è speciale (malgrado la copertina tricolorata) perché si pone l'obiettivo di recuperare la nostra memoria storica. Già l'intestazione del mensile parla chiaro, ponendosi come obiettivo il "rilancio della cultura e delle tradizioni popolari ciociare e di Terra di Lavoro". La scelta di fare un calendario, graficamente apprezzabile (cosa che non guasta), è azzeccata anche per come è stata studiata la pubblicazione. Ad ogni mese si racconta brevemente un evento della nostra storia. Per i testi non si sarebbero potuti scegliere due autori migliori: il dott. Fernando Riccardi (storico e giornalista) e l'avv. Ferdinando Corradini, appassionato ricercatore di Storia Patria napoletana. Insieme hanno raccontato la storia che, proprio in occasione del 150enario, doveva rimanere nascosta, una memoria collettiva che, malgrado i tentativi, è ancora viva nelle popolazioni oltraggiate. "Numerosi e notevoli sono i segni dell'appartenenza della media valle del Liri all'Italia meridionale e alla provincia di Terra di Lavoro. Nella metà inferiore dello stemma della provincia di Frosinone - si legge nell'introduzione dell'avv. Corradini - figurano due cornucopie incrociate, la cosiddetta Bicornia, che altro non sono se non l'antichissimo emblema di Terra di Lavoro, riprodotto anche nel blasone della provincia di Caserta. Inoltre, la nostra odierna provincia è divisa in due dai circondari dei Tribunali di Frosinone e Cassino, il cui territorio è delimitato dalle colonnette in pietra calcarea che segnavano il confine fra lo Stato Pontificio  e il Regno delle Due Sicilie. In numerosi centri, poi, sono ancora visibili delle tabelle che indicano, per così dire, le "generalità" amministrativo - giudiziarie degli stessi; tali tabelle si concludono con l'indicazione della provincia di appartenenza, che era appunto Terra di Lavoro". Gli eventi e i temi raccontati dai due autori sono la Battaglia di Bauco (28 gennaio 1861), La convenzione di Cassino (24 febbraio 1867), La proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861), Un confine lungo tredici secoli (aprile), Giuseppe Polsinelli e l'industria laniera di Arpino (maggio), La morte di Chiavone (28 giugno 1862), La strada Napoli - Sora (luglio), Con la morte di fuoco sul brigantaggio cala il sipario (agosto), Mons. Montieri fugge da Sora (settembre), Il Plebiscito del 1860 (21 ottobre 1860), Gli insorgenti prendono Isoletta e San Giovanni Incarico (11 novembre 1861) e La strada Civita - Farnese (dicembre). Di seguito elenchiamo i primi quattro eventi dell'anno e ogni mese aggiungeremo i tasselli seguenti. Nel frattempo vi invitiamo a presentare alla redazione del mensile i complimenti per questa iniziativa.

P.L.

Veduta di Boville Ernica (Bauco)

La battaglia di Bauco (28 gennaio 1861) di Fernando Riccardi
Il 22 gennaio del 1861 il generale sabaudo De Sonnanz ordinò ai suoi soldati di oltrepassare il confine e di marciare contro la banda di Chiavone e di De Christen che stazionava nei pressi di Casamari. Colti di sorpresa i briganti si defilarono e andarono a trincerarsi a Bauco, l'odierna Boville Ernica, un antico borgo circondato da una imponente cinta muraria. I piemontesi allora, rabbiosi per essersi fatti sfuggire la preda, pensarono bene di devastare selvaggiamente l'abbazia. Il 28 gennaio una nutrita colonna di granatieri mosse all'attacco di Bauco incontrando una accanita resistenza. Lo scontro fu molto aspro e si giunse ad un feroce corpo a corpo. I briganti, giovandosi anche della posizione favorevole, riuscirono a respingere ripetutamente i soldati sabaudi che lasciarono sul terreno parecchi morti e feriti. Fu allora che da parte piemontese partì la proposta di interruzione delle ostilità che venne subito accolta. 
De Sonnaz fu costretto a ritornare a Sora dopo aver giurato sulla sua parola di ufficiale di non rimettere più piede in territorio papalino. I soldati di De Christen e i briganti di Chiavone avevano ottenuto una netta ed inaspettata vittoria. I granatieri erano stati sconfitti da una banda di irregolari, uno smacco gravissimo per il poderoso esercito di sua maestà sabauda. La battaglia di Bauco non modificò le sorti di una guerra già persa in partenza. Fece comprendere, però, ai nuovi governanti che al conquista dell'Italia meridionale avrebbe comportato un pesante fardello di lacrime e sangue.

File:T. Rodella - battaglia di Mentana - litografia acquerellata su carta - 1870s.jpg
Riproduzione dello scontro di Mentana (vinto dai papalini) che anticipò la firma della Convenzione

La Convenzione di Cassino (24 febbraio 1867) di Fernando Riccardi
Il 24 febbraio del 1867, a Cassino, il maggiore della gendarmeria papalina di Frosinone, conte Leopoldo Lauri, e il maggiore generale Lodovico Fontana, comandante italiano della prima zona militare, siglarono un importante accordo conosciuto come la "Convenzione di Cassino".
Era la prima volta da quando i piemontesi avevano preso possesso "manu militari" del meridione d'Italia che plenipotenziari sabaudi e pontifici si mettevano attorno ad un tavolo per discutere del problema del brigantaggio. D'altro canto, considerata la particolare virulenza del fenomeno che avvampava soprattutto nella zona a cavallo della linea di frontiera tra i due stati, i governi erano stati quasi costretti a cercare una collaborazione di natura politica e militare che potesse impegnarli "ad una energica repressione nei rispettivi territori".
La Convenzione di Cassino, che contemplava sei soli articoli, fece registrare un netto cambio di strategia. Se prima, infatti, i briganti avevano potuto avvalersi di una certa compiacenza da parte delle autorità pontificie, ora, su entrambi i fronti, nell'ex regno napoletano e nel comprensorio papalino, l'attività di repressione si intensificava decisamente.
In precedenza era stato possibile fare il salto della quaglia da uno stato all'altro passando indisturbati la frontiera, ora la cosa incontrava parecchie difficoltà. Anche perchè l'inseguimento ai briganti non si arrestava più sulle sponde del fiume Liri, che segnava la linea di demarcazione, ma poteva continuare anche nel territorio appartenente allo stato limitrofo. 
Grazie alla Convenzione di Cassino e alla sua rigida applicazione il brigantaggio di frontiera iniziò a segnare decisamente il passo. Di lì a qualche tempo il fenomeno perse definitivamente la sua connotazione politica e intorno al 1870 finì per scomparire del tutto.

Vittorio Emanuele II omaggiato dopo la proclamazione del Regno d'Italia

La proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861) di Fernando Riccardi
Nel gennaio del 1861 si tennero le elzioni per la formazione del primo parlamento unitario. Tutto ciò mentre il vessillo borbonico continuava a sventolare sulle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto che resistevano gagliardamente all'assedio delle truppe sabaude.
Furono chiamate a votare 420mila persone, meno del 2% della popolazione che allora ammontava a quasi 26 milioni. Alle urne si recarono in 240mila e i voti validi furono poco più di 170mila. Numeri particolarmente esigui: Garibaldi fu eletto nel collegio di Napoli con soli 39 voti. La prima convocazione del Parlamento italiano si ebbe il 18 febbraio.
Un mese dopo, era il 17 marzo del 1861, fu proclamata la nascita del Regno d'Italia. La legislatura che andava ad iniziare fu contrassegnata dal numero VIII (il conteggio inglobava quelle precedenti di matrice piemontese) mentre Vittorio Emanuele fu nominato Re d'Italia conservando il numerale II, a sottolineare in maniera palese che il processo risorgimentale aveva assunto le caratteristiche di una vera e propria annessione.
Il Regno d'Italia rimase in vita per 85 anni fino al 2 giugno del 1946 quando un referendum istituzionale scelse la forma di governo repubblicana decretando l'esilio per i regnanti sabaudi.

Due lati dei cippi di confine tra Stato Ponticio e Regno delle Due Sicilie

Un confine lungo tredici secoli (aprile) di Ferdinando Corradini
Il territorio della odierna Provincia di Frosinone, per più secoli è stato diviso in due da una frontiera fra Stati. Tale situazione ebbe inizio sul finire del VI secolo, allorchè i Longobardi di Benevento ne occuparono la parte meridionale, mentre quella settentrionale rimase sotto il ducato bizantino di Roma. Come già visto nella introduzione in epoca normanna la parte meridionale entrò a far parte della provincia di Terra di Lavoro, ricompresa nel regno di Sicilia, successivamente detto di Napoli e poi delle Due Sicilie. La parte settentrionale, invece, faceva parte dello Stato della Chiesa. Tale situazione di divisione perdurò fino al 1° gennaio 1927, allorchè venne istituita la provincia di Frosinone assemblando parte della provincia di Roma con parte di quella di Caserta. 
Facendo due conti, ci avvediamo come, dal 1927 alla fine del VI secolo, passino oltre 1300 anni. E' per questo che la storica inglese Georgina Masson ha scritto che, fino all'unificazione italiana, la frontiera fra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie è quella che è durata più a lungo in Europa.
Come ha evidenziato lo storico cepranese Giovanni Colasanti, che è stato il primo e, per quanto si sappia, l'unico a studiare le vicende del nostro territorio dal punto di vista topografico, tale linea di confine poggiava su capisaldi naturali, rappresentati dalla catena dei monti Simbruini e Ernici, che ancora oggi delimitano il Lazio dall'Abruzzo, dal medio corso del Liri, press'a poco nel tratto che va da Isola Liri a Isoletta, e dalla catena dei monti Ausoni, da San Giovanni Incarico alla costa tirrenica.
Nonostante la frontiera fosse tanto antica, soltanto intorno alla metà dell'Ottocento si provvide a disciplinarla compiutamente, con un trattato fra due Stati, sottoscritto a Roma il 26 settembre 1840 e ratificato il 5 aprile 1852. Nel frattempo, negli anni 1846/47, si era provveduto a porre a dimora le 686 colonnette lapidee che delimitavano correttamente la frontiera. Negli anni novanta del passato secolo, tre amici di Sora, il signor Argentino Tommaso D'Arpino, il dr. Antonio Farinelli e il dr. Ugo Muraglia hanno eseguito una ricognizione delle colonnette ancora presenti in situ. I primi due hanno anche dato alle stampe una pregevole pubblicazione sull'argomento, unica nel suo genere. Tali colonnette erano di dimensioni variabili. Avevano tutte, inciso verso Roma, lo stemma dello Stato pontificio, costituito da due chiavi incrociate o, come si dice con termine tecnico, decussate, e, verso Napoli, un giglio stilizzato, emblema della famiglia dei Borbone. Sotto lo stemma pontificio fu indicato l'ano di posa in opera della colonnetta (1846 o 1847), sotto il giglio borbonico il numero della colonnetta, che era in progressivo, dal Tirreno verso l'Adriatico. Sulla cupola apicale era inciso l'esatto andamento della linea di confine.

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