Fenestrelle - dal nostro presidente riceviamo:
Fenestrelle
Massiccia, minacciosa, cupa, tra montagne alte e all’aspetto scure, la fortezza di Fenestrelle eretta dai Duchi di Savoia come baluardo di difesa, a sbarrare nella val Chisone la strada ai Francesi, pur essendo ormai ridotta in condizioni non certo buone e avendo anche subito un parziale abbattimento per migliorare, rendendola più larga ed agevole , la strada che essa dominava, ancora oggi, specie in chi ci arriva per la prima volta, suscita un senso di timore e di angoscia. Superato il fossato di difesa, si passa sotto l’androne di ingresso e si entra nel cortile principale su cui si proiettano gli antichi edifici, che erano usati per il Comando del forte e per alloggiare la guarnigione e la facciata della chiesa, già dedicata a S.Carlo. E’ da questo spiazzo, piccola piazza d’armi del forte, che inizia poi la scalata di migliaia di gradini, accompagnati da un percorso a svolte e controsvolte, con cui si sale fino in cima alle ultime costruzioni, le più alte, essendo il forte costituito da un insieme di unità fortificate atte a costituire una barriera difensiva.
E’ questo il luogo che, nato come luogo di difesa confinaria, fu poi adoperato come luogo di detenzione e di detenzione severa, considerando sin dall’inizio, la difficoltà a circolare al suo interno per l’appunto per il tipo di architettura e poi per le condizioni climatiche che, nel cuore di alte montagne, a 1200 metri di altitudine, sono facilmente immaginabili per la loro asprezza in particolare nella stagione fredda.
Aggiungasi poi, per rendere più “”simpatico”” il posto la presenza a tutti i vani di luce di massicce grate di ferro e ai vani di accesso e di varia comunicazione, di infissi massicci e dotati di robustissime chiusure.
Non manca infine un ampio e profondo“inghiottitoio” in cui,come era uso, poter scaraventare le spoglie mortali del detenuto defunto di cui si cancellava così ogni traccia e ricordo.
Era questo, per grosse linee, il quadro che si presentava ai Soldati del nostro Esercito del Regno delle Due Sicilie, che caduti prigionieri dell’Esercito del Regno di Sardegna, erano stati trasferiti in quel luogo e in altri simili, anche se non così severi del Nord, per essere allontanati dalla loro Patria, indebolirli al massimo nel morale e invitarli a passare nel nuovo esercito che chiamavano italiano (quasi che i precedenti eserciti degli stati preunitari fossero stati composti da mercenari mongoli o chi sa di dove !).
I Soldati del Sud, come è noto rispondevano con la frase "UNO DIO UNO RE" che sintetizzava la loro fedeltà al giuramento e la loro avversione per questo nemico che aveva invaso la loro Terra e ciò, come è altrettanto noto, provocava ulteriore e più pesante maltrattamento,spesso con risultati fatali.
Il giorno 1 luglio, su iniziativa e organizzazione del valoroso compatriota, il calabrese Duccio Mallamaci un gruppo di volenterosi, tra i quali mi onoro di essere stato presente, ha svolto un rito di ricordo di quei valorosi recandosi nel forte, dopo aver partecipato alla celebrazione della S.Messa officiata da un sacerdote (tradizionale, di quelli in abito talare) di origini lucane (e non guasta affatto). Nel forte dopo aver lasciato una corona di alloro nel luogo ove era stata posta in primo tempo una lapide commemorativa nel cortile principale alla vista di tutti i visitatori, ha raggiunto il locale “nascosto” dove la Direzione del sito ha trasferito la lapide stessa (sarebbe stata severo censore del 150° !). In tale luogo è stata deposta altra corona di alloro ed è stata aggiunta una targa di omaggio ai Caduti a nome dell’Istituto per la ricerca storica delle Due Sicilie e della Associazione Capitano G.. De Mollot –Eroe del Volturno-.
Pensiamo di aver così adempiuto ad un sacro dovere, quale quello di onorare CHI CON FEDELTA’ED ONORE SEPPE SACRIFICARSI PER LA SUA PATRIA E IL SUO RE.
E quel luogo oscuro ove l’ottusità burocratica piemontese di qualche funzionario ha voluto ridurci con l’intento di mortificarci, dovrebbe divenire luogo di visita (direi quasi di pellegrinaggio) e la parete su cui sono affisse le targhe commemorative dovrebbe essere arricchita di piccoli ricordi, quasi ex voto,là portati dai meridionali di oggi, riconoscenti ai loro antichi progenitori che ebbero comportamento eroico .
E’ questa la preghiera che, da inguaribile e testardo innamorato del Sud, mi permetto di rivolgere a tutti i Compatrioti assolutamente senza alcuna distinzione.
P.S.: Mi sembra giusto e doveroso ricordare che i presenti alla cerimonia di cui sopra erano in maggioranza emigrati meridionali di varie regioni costretti ad un vero e proprio espatrio, (una coppia di calabresi arrivava da Losanna), ma tutti con in tasca la Bandiera gigliata e qualcuno anche con una maglietta riportante sul petto lo stemma di Borbone Due Sicilie .
Giovanni Salemi