lunedì 6 giugno 2011

E' morto Cavour!!! Un telegramma da Caserta e il ricordo di de Sivo.


CASERTA - Oggi ricorrono i 150 anni della morte di Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, nobile dei Marchesi di Cavour, conte di Cellarengo e di Isolabella, Cavaliere dell'Ordine Supremo dell'Annunziata, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia e di altri 8 ordini esteri (tra cui spicca, purtroppo, quello di Carlo III di Spagna). Lo ricordiamo con un breve pensiero e con due documenti. Troppo lunga fu la vita di Cavour e troppo tardi il Signore lo ha chiamato a rendere conto dei danni e dei torti fatti sulla terra ma così sono andate le cose. L'uomo che più di tutti, con i suoi intrighi e con politiche molto discutibili, ha avuto il merito di aver esteso il Regno di Sardegna è oggi celebrato come un Padre della Patria. Patria sabauda ovviamente, perchè per quanto riguarda il resto dell'Italia i suoi sentimenti furono sempre truci e criminali. Fu crudele persino con i suoi stessi soldati quando partecipò, senza motivo apparente, alla guerra di Crimea mandando a morire 15mila piemontesi in una terra lontanissima di cui a stento conoscevano il nome tradendo i buoni rapporti instaurati con lo Zar di Russia. Quindicimila morti per stare dalla parte del vincitore e farsi amici importanti in vista della tragicommedia del 1860! Ma cosa sono 15mila morti per il Padre della Patria? Mosche da poter sacrificare, questo sono! E se non fu tenero con i piemontesi non può stupirci leggere che chiamava "canaglia" la truppa napoletana (da che pulpito!) che non volle rompere il proprio giuramento fatto al loro vero Sovrano: Francesco II di Borbone! Definizione data mentre ordinava ai suoi Generalissimi di trasportare le canaglie al nord, nel porto di Genova dove sarebbero stati smistati nei diversi campi di prigionia appositamente pronti a riceverli. Ma sì, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno, festeggiamo anche Cavour e aspettiamo frementi il ricordo delle massime autorità dello Stato! Già posso immaginare il ricordo dell'illustre Cavour: uomo pieno di valori, eroe vero, grande politico, illustre mecenate, fondatore di quest'Italia unita e tricolorata che noi tanto amiamo! Fortunatamente le foto di Cavour parlano chiaro altrimenti ci saremmo trovato un altro atletico eroe biondo con gli occhi azzurri, alto e fiero sul suo cavallo nero. Immagino soltanto, perchè non ho lo stomaco di sentirle queste storielle e passo la mano a chi ce la fa. Ovviamente se ne guarderanno bene dal citare i fatti di Crimea, i legami con la massoneria, l'odio per Mazzini e Garibaldi, le furiose liti con Vittorio Emanuele II (che servì però fedelmente fino alla fine dei suoi giorni), i prestiti ottenuti dagli inglesi, il legame con la Castiglione, il ruolo di Napoleone III, per un giorno scomparirà anche Garibaldi dalle cronache unitarie, nulla, sono sicuro, rovinerà il ricordo dell'invitto e immortale statista. Si ricorderà anche delle folle oceaniche e della commozione generata dalla sua dipartita tanto grave quanto inattesa. Folle e commozione spinte soprattutto dalle veline delle Prefetture e dai telegrammi che tutti i comuni e i Prefetti inviavano alle autorità centrali. 


Pubblichiamo per questo il telegramma di condoglianze inviato dal preciso e puntuale Prefetto di Terra di Lavoro, Alfonso De Caro a Torino, capitale del Regno d'Italia. Messaggio inviato anche a tutti gli "invitati" alle solenni celebrazioni funebri. Nel telegramma si legge: 

"Riuniti ad esprimere il comune cordoglio per la morte di Camillo Benso Conte di Cavour, il Municipio di Caserta, le Autorità, la Guardia Nazionale, gli Uffiziali della Guarnigione, ed i Cittadini faranno solenni funerali all'Illustre Estinto in questa Chiesa Cattedrale Giovedì prossimo 20 andante alle ore 9 antimeridiane. E' pregata ad intervenire. Caserta lì 18 giugno 1861. In abito di lutto"




E per celebrare meglio la figura dell'illustre statista è bene ricordare le parole scritte dallo storico Giacinto de Sivo, nella sua Storia del Regno delle Due Sicilie, tomo III, libro XXXII/18. Si legge sulla morte di Cavour:


"Mentre il Cavour faceva a forza festeggiare gl'italiani ci moriva. A sera del 29 maggio il piglia un male strano; mescola salassi e chinino; ha deliri, vomiti, febbre, agghiacciamenti, brividi, accessi al cervello, sete e stertore. Non credea finire; favellava di grandi disegni, e pregava i medici guarisserlo presto, non aver tempo da stare malato, dovere la domenica visitare il traforo del Moncenisio. Ma appunto sull'alba della domenica, proprio il 2 giugno designato a festa, intristì.
Parroco della sua parrocchia, la Madonna degli Angeli, era padre Ignazio da Montegrosso, cui tenevano relegato a Cuneo, onde vi stava rettore Giacomo da Poirino. Il Cavour sin dal 55, presentando la legge sui beni ecclesiastici, memore dell'accaduto al Santa Rosa, s'accaparrò quel frate che promisegli lo assolverebbe, né farebbe rinnovare lo scandalo del Santa Rosa. E fra Giacomo puntuale venne l'ultimo giorno, e stettevi mezz'ora. Hanno stampato i parenti ch'ei chiamato il Farini, dicessegli: - Mi sono confessato, ora mi comunicherò; voglio si sappia che muoio buon cristiano. Sono tranquillo; non ho mai fatto male a nessuno -. Credea burlare Dio; e morendo percussore di Santa Chiesa in terra cattolica, volle cattolico parere. Nel gran passaggio, asseriva non aver fatto male a nessune, egli che per brogli e congiure avea fatto versare torrenti d'umano sangue. Ipocrita e bugiardo, la contraddizione tra i detti e i fatti usata in tutta la vità, usò morendo; e con la menzogna in bocca comparire avanti al Dio della verità.
I giornali cattolici encomiavanlo, ch'avendo preso il viatico avesse abiurato gli errori; ma subito il fratello di lui dichiarò non avere abiurato niente. Presto si seppe ch'era il Gran Maestro della massoneria italiana. Mercante in tutto, di zolfo, grano, riso, voti, città, popolazioni e stati, anche col confessore mercanteggiò. Sei mesi prima alla camera chiedentegli Roma, avea risposto: - Sapete voi che accadrà fra sei mesi? -. Era sano, avea cinquant'anni; cadde malato il giorno del Corpus Domini, spirò dopo l'alba del 6 giugno, giorno dell'ottava, giorno che per miracolo antico del 1453 Torino festeggiava la processione del Sacramento, cui egli abolì; ma seguì la processione del funerale la sera seguente, con gran pioggia. Gli amici dissero che anche il cielo piangeva: l'Italia in tante coincidenze vedeva il dito di Dio. Re Vittorio fe' cavaliero di San Maurizio e Lazzaro, e con pensione di mille lire annuo rimertò, quel frate Giacomo, confessore del Gran Maestro de' Massoni; che faceva prò credere al popolo colui morto confessato, però cosa giusta le usurpazioni fatte.
Costui la setta strombazzò grande ingegno; certo la malvagità è astuta; se nol fosse, non saria da temere; ma furberia non è ingegno, il quale tende a fine buono. Il malvagio non ha talento, ma mal talento; non è degno d'encomio, ma di pena, e più quanto più sta in alta la sedia. Da più secoli la grama umanità non aveva esempi di ipocrisie e menzogne simiglianti; ei si dovrebbe tornare col pensiero a quel Fozio di mille anni avanti. Con la sua morale si fece quattordici milioni, raspati in pochi anni e fu chi stampò quaranta. S'ordinarono funerali in ogni terra, monumenti, e piagnistei; la rivoluzione si diè gran da fare. Però sul clero che si negava s'aggravavano le persecuzioni: i religiosi predicatori di Girgenti a punizione fecero viaggiare a Palermo. Al funerale a Parigi andò la massoneria tutta: Polacchi, Ungari, Greci, Inglesi, ma non un patrizio napolitano; e pur ve n'erano esuli le migliaia. In Napoli gli posero un busto all'Università sconciamente tra San Tommaso e Vico! A dargli il successore nel Gran maestrato fu un impaccio; ma Napoleone che voleva un pupo suo vi tirò su quel fanciullon del Nigra, novizio dell'ordine; perlocchè le logge di Napoli e Palermo protestarono. Il Bonaparte ne rise, e volle d'avvantaggio mandasserglielo ambasciatore a Parigi, così dal suo salotto comandare alle due massoneria d'Italia e di Francia. Italia rappresentata dal Gran Maestro significò questa redenta Italia essere massoneria.
Due giorni dopo il Cavour, morì un Guglielmo Stefani esule veneto, autore della famosa agenzia telegrafica a Torino, messa per servire la setta e spacciar notizie guaste o false; e pure ricchissimo finì. Il mondo perdè insieme questi due bugiardi. E dopo pochi altri di mancò d'apoplessia il piemontese generale Dabormida. In breve erano finiti male parecchi di quei congiuratori: si ricordava il Landi della polizza falsa, il principe di Siracusa, il Teleki ungaro suicida, e 'l Farini malato e presto pazzo. I buoni speravano finisse la rivoluzione, quasi mancassero i birbanti".


Roberto Della Rocca



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