venerdì 24 giugno 2016

Attenti a parlare degli evasori come Stalin faceva dei kulaki



Dato l'interesse suscitato dal predente articolo, ne proponiamo uno di Silvano Fait originariamente pubblicato da liberiamo.it

per leggere l'articolo originale clicca qui


– “Per eliminare gli evasori come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di evasori, […] è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo“.

Sostituite “evasori” con la parola “kulaki” ed avrete ottenuto una citazione di Josif Stalin tratta da “Questioni di leninismo”.





In tempi di austerity, ma probabilmente sarebbe più corretto dire in tempi di declino economico, la lotta all’evasione a prescindere da qualsiasi criterio di razionalità giuridica ed economica è divenuto il mantra di cui tutti si riempiono la bocca salvo poi preferire regolarmente in privata sede il conto senza fattura. Nei pubblici dibattiti l’italica fantasia si sviluppa nel proporre la tassa più bella o il lacciuolo più intelligente. Personalmente vorrei un fisco più leggero, equo ed efficiente come accade nella maggior parte dei paesi sviluppati, ma se proprio rivoluzione o “guerra civile” deve essere ecco, in questo momento ho pochi dubbi: io sto con i kulaki. Certo, turandomi il naso e ricordando che una buona ripartizione degli oneri pubblici sono alla base della convivenza civile. Ma sempre e comunque, messo alle strette, tra percettori e produttori sarò più vicino alle ragioni di questi ultimi. Perché non credo che la “radice di tutti i mali” del nostro sistema risieda nel precario che arrotonda con le ripetizioni, nella sartina che cuce in garage, nella babysitter, nel pensionato che ripara rubinetti a venti euro o negli straordinari pagati fuori busta per non far perdere gli assegni di famiglia all’operaio. E state pure certi che in uno stato forte con i deboli e debole con i forti, saranno costoro ad aver da temere. Non certo i proprietari di Ferrari che nel giro di qualche anno vedremo girare con la targa del Principato di Monaco o della Repubblica di San Marino. Ciò premesso, articolo la mia posizione.
L’applicazione della normativa tributaria deve essere un’attività di tipo routinario, come l’applicazione della legge e l’amministrazione della giustizia. E come queste deve avvenire nel rispetto di norme consone allo stato di diritto, non sulla scorta di provvedimenti emergenziali che finiscono per colpire in larga parte i soliti noti. Vi sono tre elementi principali che concorrono a determinare l’entità dell’evasione:
  • Il carico fiscale
  • La possibilità di venire scoperti e le relative sanzioni
  • La qualità percepita dei servizi pubblici erogati con le imposte raccolte
Una bassa pressione fiscale riduce l’incentivo ad evadere, un sistema tributario semplice risulta di più facile applicazione, facilita il calcolo delle imposte, lascia meno margine alla discrezionalità e all’interpretazione, rende le sanzioni più certe. Al tempo stesso il modo in cui i tributi vengono spesi e la qualità dei servizi offerti sono ciò che distinguono il finanziamento collettivo di beni, servizi e reti di protezione sociale da un testatico medievale.
Occorre inoltre precisare alcuni concetti importanti.
Il recupero  dell’evaso deve andare di pari passo con la riduzione del carico su chi è già oberato, altrimenti equivale ad un incremento secco della pressione tributaria dagli effetti palesemente recessivi (*).
Esso deve inoltre minimizzare le conseguenze comportamentali: ovvero una normativa il cui rispetto rende poco economico lo svolgimento di un’attività lavorativa è sbagliata. E’ sbagliata per il produttore, per il consumatore e per l’erario stesso. Questo riguarda particolarmente tutta una serie di attività come quelle sopra elencate (ripetizioni, lavoretto del pensionato, straordinario fuori busta, sartoria, pulizia delle scale, etc.) che potremmo definire “a bassa complessità”. Attività cioè particolarmente semplici, dove la quasi totalità del valore aggiunto è costituita dalla prestazione lavorativa e che spesso, specie in periodi recessivi, sono dei veri e propri ammortizzatori sociali. In un mondo ideale non dovrebbe essere così, ma nell’attesa di diventare la Danimarca, eviterei nella recessione prossima ventura di andare a spaccare gli stinchi a chi, privo di lavoro, si arrangerà in qualche modo per non trovarsi con le chiappe al freddo.  A tal proposito sarebbe l’ora di prendere in considerazione dei modelli di fiscalità di tipo forfettario in relazione al volume d’affari con una soglia minima di esenzione la cui caratteristica sia l’estrema semplicità in modo da essere intelligibili anche per persone con un basso grado di istruzione.

gli ita….oops i kulaki
La focalizzazione sul contante non deve risultare in una fobia. L’utilizzo della moneta elettronica è un fatto di praticità ma nessun sistema fiscale ha migliorato le proprie performance in modo decisivo con misure limitative dell’uso del contante. Soglie troppo basse, come quelle approvate, abbinate ad adempimenti draconiani con tanto di responsabilità penale a carico degli operatori producono esternalità negative quali un numero abnorme di transazioni segnalate con un incremento esponenziale dei falsi positivi (e dei relativi costi di controllo e contenzioso) ed un vistoso aumento dell’effetto network. Ovvero della convenienza da parte degli operatori economici a intrattenere rapporti con altri soggetti che si comportano in modo analogo: in pratica chi già fa un po’ di nero è più incentivato a farne un più intrattenendo più rapporti con clienti e fornitori che fanno altrettanto.
In una prospettiva di medio e lungo termine il contrasto dell’evasione fiscale deve avvenire in un sistema tendenzialmente il più inclusivo possibile, scoraggiando gli operatori ad agire al di fuori di esso e incentivandoli ad utilizzare canali tracciabili: da questo punto di vista una giustizia civile inefficiente costituisce un grosso handicap. Le transazioni tracciate sono utilizzabili al fine di dirimere i contenziosi, tutelare la proprietà e favorire il rispetto dei contratti. Tribunali con tempi biblici eliminano quest’incentivo importante aumentando la sensazione di pagare per un sistema che non offre servizi al momento del bisogno. L’arbitrarietà e la frequenza con cui vengono cambiate le norme per la comunicazione al fisco delle operazioni bancarie, le modalità di calcolo delle imposte sugli investimenti, etc. rischiano di trasmettere un messaggio pericoloso: quello che in Italia la banca è il posto in cui il governo ti prendi i soldi quando non ha niente di meglio da inventarsi.

risus abundat in ore stultorum
Con buona pace dei moralisti l’evasione non è assimilabile ad un furto nel senso letterale del termine. E’ un comportamento da free rider in cui il danno si manifesta non nel momento in cui il fatto economico viene compiuto, ma quando l’evasore beneficia di servizi al cui pagamento non ha contribuito (strade, ospedali, etc.). Facciamo esempi banali. Per imbiancare casa è possibile: i) chiamare un imbianchino oppure ii) fare da soli. Nel primo caso l’imbianchino rinuncia a del tempo libero mentre il proprietario rinuncia ad una cifra x che rappresenta il reddito monetario dell’imbianchino (il tempo libero è il ricavo del proprietario). Nel secondo caso è il proprietario che rinunciando al tempo libero e risparmiando un esborso produce un reddito reale a proprio favore. Anche se il lavoro ed il risultato finale è lo stesso il primo caso rientra nel conteggio del pil e genera una base imponibile, mentre il secondo no. Ma in ogni caso l’attività economica reale è sempre la stessa. Affermare che la mancata fattura da parte dell’imbianchino è un furto per la collettività significa che è un furto non pagare le tasse sui lavori in economia. Caso simile è quello di un pensionato che sposa la badante: questa continuerà a svolgere le stesse mansioni di prima, ma in qualità di moglie ovviamente non riceverà uno stipendio “regolare” (gravato da imposte e contributi). Il pil diminuisce, le tasse calano ma l’attività economica ed il benessere dei soggetti coinvolti rimane identico. Ma in ogni caso (anche in quello dell’imbianchino che omette la fattura) il reddito monetario verrà comunque successivamente speso o investito ed una parte del gettito verrà recuperata in forza di una maggior velocità di circolazione monetaria e dell’attività economica.

Le norme fiscali sono la risultante delle decisioni politiche su come ripartire gli oneri collettivi delle spesepubbliche deliberate. La qualità della spesa è molto importante nel valutare le aspettative e le pretese di pagamento. La redistribuzione, più volgarmente detta equità, non dipende unicamente dal lato delle entrate ma anche da quello delle uscite. Circa il 10% dei beneficiari delle pensioni erogate in Italia riceve oltre il 33% della spesa pensionistica. E questo dato non considera doppie pensioni, reversibilità né i beneficiari che continuano a lavorare. Ben oltre un terzo della spesa pensionistica italiana viene quindi assorbito dal 10% delle rendite più cospicue. Un sistema progressivo che finanzia le rendite e le auto blu degli alti papaveri della burocrazia può tranquillamente finire per essere più iniquo di uno “flat” che concentra i propri interventi di spesa nei decili di reddito inferiori e nelle situazioni di disagio sociale.
Un altro problema è quello dei privilegi acquisiti. Prendiamo il caso di un baby pensionato: questo ha formalmente pagato tutte le imposte (e rispettato quindi alla lettera la legislazione all’epoca vigente). Queste imposte e contributi però gli hanno conferito un “entitlement” particolarmente onereoso, ovvero il diritto a ricevere prestazioni future del tutto sproporzionate a quanto pagato e che dovranno essere sostenute dai lavoratori futuri. Da questo punto di vista il costo sociale per la collettività surclassa di gran lunga quello di un piccolo evasore che in ragion di ciò si ritrova al più una pensione di 500 euro a 65 anni. In materia previdenziale alcuni diritti acquisiti (in particolare baby pensioni, pensioni precoci e pensioni d’oro) finiscono per produrre situazioni di antieconomicità ed iniquità perfettamente legali, ma socialmente più dannose e regressive di molte forme di evasione marginale.
Quello che preoccupa è l’involuzione culturale per cui la proprietà privata diventa quasi un furto salvo giustificazione con apposta marca da bollo e sogni piccolo borghesi come una casa di proprietà, un bilocale al mare, la possibilità di aiutare i figli a farsi quattro mura o avviare un’attività meritino una sorta di stigma sociale.
Nicolaj Bucharin
Vi è una situazione per cui il contadino ha paura di farsi un tetto di lamiera perché teme di essere dichiarato kulak, se acquista una macchina cerca di fare in modo che i comunisti non se ne accorgano. Le tecnica avanzata è divenuta clandestina […] oggi questi metodi ostacolano lo sviluppo economico. Oggi dobbiamo eliminare una serie di restrizioni per il contadino agiato da un lato e per i braccianti che vendono la propria forza lavoro dall’altro. La lotta contro i kulaki deve essere condotta con altri metodi, per altra via […] A tutti i contadini complessivamente, a tutti gli strati di contadini bisogna dire: arricchitevi, accumulate, sviluppate le vostre aziende. Soltanto degli idioti possono dire che da noi deve sempre esserci povertà“.
(Nicolaj Bucharin, rivoluzionario e dirigente del PCUS purgato da Stalin nel 1938)


Autore: Silvano Fait
Nato ad Arezzo nel 1979, ha una laurea in Economia Aziendale ed un master in Corporate Banking. Lavora presso un istituto di credito. Scrive regolarmente su IdeasHaveConsequences.org, collabora con Linkiesta, Chicago Blog ed altri blog

(*) In realtà è nostra opinione (g.r.) che la lotta all'evasione sia efficace e produttiva di benefici effetti solo rendendola economicamente non vantaggiosa e che solo la DRASTICA riduzione della pressione fiscale possa ottenere questo risultato e possa portare, successivamente, ad un aumento del gettito, aumento consistente del gettito. La curva qui sotto non ha bisogno di particolari spiegazioni.





qui sotto il link al precedente articolo:

martedì 21 giugno 2016

GLI EVASORI FISCALI COME I KULAKI, IL GOVERNO ITALIANO COME L'URSS



Accade di rado, ma talvolta abbandoniamo gli argomenti storici per proporre articoli di altra natura.
Se riflettete bene, però, questo interessante articolo pubblicato originariamente da miglioverde.it a questo indirizzo, l'attinenza con quanto pubblichiamo normalmente ce l'ha.


Ma prima di vorrei sottoporVi queste parole di Nicolaj Bucharin, rivoluzionario e dirigente del PCUS purgato da Stalin nel 1938.

Vi è una situazione per cui il contadino ha paura di farsi un tetto di lamiera perché teme di essere dichiarato kulak, se acquista una macchina cerca di fare in modo che i comunisti non se ne accorgano. Le tecnica avanzata è divenuta clandestina […] oggi questi metodi ostacolano lo sviluppo economico. Oggi dobbiamo eliminare una serie di restrizioni per il contadino agiato da un lato e per i braccianti che vendono la propria forza lavoro dall’altro. La lotta contro i kulaki deve essere condotta con altri metodi, per altra via […] A tutti i contadini complessivamente, a tutti gli strati di contadini bisogna dire: arricchitevi, accumulate, sviluppate le vostre aziende. Soltanto degli idioti possono dire che da noi deve sempre esserci povertà“.





fondatore Gilberto Oneto


GLI EVASORI FISCALI COME I KULAKI, IL GOVERNO ITALIANO COME L'URSS
di GUGLIELMO PIOMBINI




Negli ultimi anni l'italia si è progressivamente allontanata dai sistemi ad economia di mercato per abbracciare un modello che presenta numerose analogie con il regime sovietico nella fase stalinista di consolidamento del comunismo. La pressione fiscale effettiva sulle imprese, tenendo conto di ogni imposta e contributo, ha raggiunto un livello ufficiale vicino al 70% degli utili, che in alcuni casi arriva fino all'85%.
Ci sono anche stati casi di imprenditori che dovendo pagare il 110% di imposta sugli utili prodotti, si sono indebitati con le banche. Questo livello di tassazione è in linea con quello applicato dal regime sovietico tra la fine degli Venti e i primi anni Trenta, quando Stalin decise di collettivizzare l’intera economia eliminando i ceti produttivi privati.
Le entrate fiscali italiane, aumentate da 450 miliardi a oltre 750 miliardi negli ultimi due decenni, hanno trasferito 300 miliardi aggiuntivi dalle tasche dei ceti produttivi privati al ceto burocratico. Si tratta di una confisca di ricchezza privata che rivaleggia per rapidità e imponenza con quella realizzata in quegli anni dalle autorità sovietiche. Anche le modalità operative e propagandistiche con cui le autorità comuniste perseguitavano e depredavano i produttori privati avevano inquietanti similitudini con gli attuali sistemi di “lotta all’evasione fiscale”. Un sintomo rivelatore della vicinanza ideologica tra i due sistemi è il fatto che in Italia i membri della casta politico-burocratica hanno adottato, in difesa dei propri interessi, lo stesso frasario utilizzato dalla nomenklatura staliniana per denigrare e criminalizzare i ceti produttivi: “ricchi”, “egoisti”, “evasori”, “speculatori”, “parassiti”.

via i Kulaki


Oggi come allora gli accertamenti fiscali vengono eseguiti con metodi terroristici e arbitrari, e accompagnati da una martellante propaganda di regime contro il nemico del popolo, “l’evasore fiscale”. Lo Stato italiano inoltre, attraverso gli studi di settore, i redditi presunti o gli obblighi contributivi svincolati dagli utili prodotti, usa anche la collaudata tecnica sovietica di rovinare i produttori privati esigendo dei tributi di entità assolutamente irraggiungibile. Ad un certo punto le autorità sovietiche ipotizzarono come metodo di lotta nei confronti dei “ricchi” kulaki l’abolizione del contante: un’idea che i governi italiani accarezzano da tempo, e che finora hanno realizzato solo parzialmente abbassandone il limite di utilizzo a 1000 euro, il livello più basso del mondo.
L’adozione su vasta scala di questi sistemi di lotta alla presunta evasione fiscale dei contadini provocò in Ucraina, negli anni 1932 e 1933, un spaventosa carestia con parecchi milioni di vittime. Oggi gli storici considerano questa tragedia come un vero e proprio genocidio pianificato a tavolino dalle autorità statali per eliminare un’intera classe di produttori privati. Anche qui sono evidenti le analogie con la situazione italiana, nella quale, a fronte di un crescente aumento dei privilegi per la casta politico- burocratica, comparabili a quelli che godeva la nomenklatura sovietica rispetto al resto della popolazione, si sta verificando un vero e proprio annientamento dei ceti produttivi privati perseguito con gli strumenti dell’accanimento fiscale e burocratico.
La distruzione del 25 % del settore produttivo privato ha provocato infatti il risultato desiderato dalla casta statale: la chiusura di centinaia di migliaia di aziende, il suicidio di migliaia di imprenditori, commercianti, artigiani o lavoratori privati che hanno perso il posto al ritmo di due o tre al giorno, il ritorno in grande stile dell’emigrazione degli italiani all’estero. Ai nostri politici non interessa nulla se le aziende chiudono o espatriano. Intendono infatti sostituire questi occupati con orde di nuovi assunti come insegnanti, forestali, dipendenti di municipalizzate e partecipate, impiegati di ministeri.
La persecuzione fiscale e burocratica contro le partite IVA mira a indebolire e alla lunga a distruggere la classe dei lavoratori autonomi, considerati pericolosi e inaffidabili perché si mantengono da soli, senza dipendere dalla politica o dalla spesa pubblica. Al contrario, i dipendenti pubblici sono spesso elettori docili e inquadrati, che votano in massa a sostegno del regime che li mantiene e li protegge. Si tratta di una strategia folle e perversa dal punto di vista economico, ma perfettamente razionale dal punto di vista politico, perché conduce al dominio assoluto del ceto politico- burocratico sulla società civile.

l'evidente successo della ripresa dell'economia italiota dovuta alle politiche di Monti prima e Matteorenzi poi


L’uso sistematico e martellante della propaganda, della menzogna e dell’occultamento della verità costituisce un’altra somiglianza tra il comportamento del governo sovietico di allora e dei governi italiani di oggi. Così come il regime sovietico cercava di nascondere al mondo la terribile situazione che si stava verificando in Ucraina, oggi i media italiani, quasi tutti sussidiati dallo Stato e quindi controllati dal regime, evitano sistematicamente di parlare di un fenomeno di enorme portata sociale come quello dei suicidi dei lavoratori autonomi perseguitati da Equitalia o dall’Agenzia delle Entrate.
Oggi tutti riconoscono che la propaganda staliniana contro i contadini ucraini, accusati dal regime staliniano di occultare i raccolti e fatti morire di fame a milioni in quanto “evasori”, era falsa, perché le immense quantità di grano o di denaro nascoste dai contadini ucraini non esistevano. Erano pura propaganda, pretesti per colpire delle categorie sociali considerate inaffidabili e poco controllabili. Allo stesso modo, anche oggi le iperboliche cifre sull’evasione sbandierate dalla casta politico- burocratica, e prontamente riprese dai media sussidiati, sono inventate di sana pianta, sono numeri privi di fondamento reale, dedotti da accertamenti gonfiati che, nella grande maggioranza dei casi, si rivelano infondati.
Del resto, con le decine di strumenti di controllo sempre più invasivi che sono stati creati nel corso degli ultimi anni, quasi più nulla ormai sfugge all’occhio del fisco. Attraverso gli studi di settore, il redditometro, lo spesometro, le segnalazioni al 117, Serpico (il supercervellone elettronico che incrocia decine di migliaia di informazioni al secondo), l’abolizione del segreto bancario, i 400mila controlli all’anno sulle piccole imprese, i blitz contro la mancata emissione di scontrini, il limite all’utilizzo dei contanti fino a 999 euro, l’utilizzo del pos per le transazioni commerciali sopra i 30 euro, il Grande Fratello fiscale conosce praticamente morte, vita e miracoli di ogni contribuente. Com’è possibile che possano sfuggirgli ogni anno centinaia di miliardi?

Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto Iosif Stalin, lieto per lo straordinario successo della sua "collettivizzazione delle campagne"

Mario Monti, presidente del Consiglio talliamo dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013 ricoprendo anche il ruolo di ministro dell'economia e delle finanze. Oops forse ho confuso le foto, ma tanto non cambia nulla.
Nessuno dovrebbe prendere sul serio questi numeri sull’evasione fiscale, perché provengono da una delle parti direttamente interessate e non da un organo terzo e indipendente. I funzionari del fisco hanno un forte interesse a di"ondere le cifre più alte possibili, perché più numerosi e scaltri sono gli evasori, maggiori sono le probabilità di ottenere dal governo un potenziamento di organici, mezzi, risorse e poteri. Il ceto politico, da parte sua, accondiscende volentieri, perché la favola del tesoro nascosto dai perfidi evasori gli o"re un facile capro espiatorio da dare in pasto al popolino credulone e indottrinato. In questo modo la casta politica può mascherare dietro all’evasione le proprie immense responsabilità nella rovina finanziaria dello Stato, e perpetuare indisturbata il saccheggio e lo sperpero del denaro pubblico.
Negli anni Trenta l’evasione dei contadini rappresentava una piccola goccia nell’oceano di sprechi e privilegi che caratterizzava lo stato sovietico. Qualcuno pensa che l’odierna situazione italiana sia diversa? Eppure anche oggi, come nell’Ucraina di quel tempo, la lotta all’evasione viene condotta in maniera spietata, senza alcun riguardo per la rovina dell’economia nazionale, la distruzione delle aziende o la disperazione delle vittime.

una tabella che mostra il grande successo economico italiota (fonte Link Campus University)


Non una parola di rammarico, di rispetto, o anche solo di pietà umana è uscita dalla bocca dei politici o dei funzionari statali per le migliaia di lavoratori privati che si sono suicidati a causa di una pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro che non ha eguali nel mondo. Anzi, com’è tipico dei regimi totalitari, spesso alle vittime si è aggiunto l’insulto, la be"a e lo sberle"o: i commenti sarcastici sui suicidi degli imprenditori lasciati dai funzionari ministeriali sui social forum sono particolarmente significativi.


Per la scarsa resistenza opposta dai contadini, durante la grande carestia che colpì l’Ucraina il numero di vittime tra gli aguzzini armati fu quasi irrilevante. Anche oggi in Italia i privati produttori di reddito soffrono terribilmente (negli ultimi cinque anni hanno chiuso 400.000 partite iva e 75.500 imprese artigiane), mentre nessun consumatore di tasse statale ha perso il lavoro, è stato indotto a emigrare o si è suicidato per ragioni economiche. Come mai? Una “crisi economica” non dovrebbe colpire in maniera più o meno equilibrata tutte le fasce della popolazione?
Così come il genocidio dei contadini ucraini non fu una carestia naturale, ma una guerra studiata a tavolino dal governo sovietico con l’intento di liquidare un’intera classe sociale, allo stesso modo i ceti produttivi italiani non sono stati vittime di una “crisi” economica, come continuano a ripetere i giornali, ma di un deliberato attacco sferrato dal ceto parassitario che controlla l’apparato statale. È questa la ragione per cui, oggi come allora, le vittime si contano da una sola parte. Non è ancora chiaro chi sono i perseguitati e chi sono i persecutori?


TRATTO DA LIBRERIA DEL PONTE

lunedì 20 giugno 2016

Scoperti altri tre altoforni a Mongiana



Mongiana: Durante gli scavi al sito delle reali ferriere di Mongiana nella Calabria Ulteriore Seconda, Distretto di Monteleone, Circondario di Serra, sono venuti alla luce tre nuovi altiforni. Il sindaco Bruno Iorfida: «Quanto rinvenuto sicuramente darà un forte impulso al turismo della nostra zona»



il link all'articolo originale de il Vibonese.it



Tre nuovi altiforni sono venuti alla luce nel corso degli scavi nella fonderia di archeologia industriale di Mongiana.

i ruderi dell'impianto di Mongiana

La notizia è riportata nell’edizione di oggi della “Gazzetta del Sud”. Una delle testimonianze sugli altiforni di Mongiana per migliorare la produzione si trova in una relazione del 3 maggio 1845. Nei giorni scorsi questo eccezionale ritrovamento. 
«Siamo di fronte - ha detto Franco Danilo, esperto di archeologia industriale - alla presenza di un forno fusorio, probabilmente era il Sant’Antonio, il tipico forno all’italiana con la forma di un parallelepipedo alto undici metri, all’interno del quale c’era il vero cuore della fonderia, costituito dal crogiolo, dal tino, dal ventre e della bocca di carico in alto». 
Real decreto n. 5457 del 20 dicembre 1858 del Regno delle due Sicilie per l'amministrazione custodia dei boschi di Serra, San Bruno e Stilo destinati agli stabilimenti di Mongiana e Ferdinandea


il primo cittadino di Mongiana, Bruno Iorfida
Entusiasta per la scoperta il sindaco di Mongiana Bruno Iorfida: «Questo importante reperto, unico nel mondo, rappresenta il punto di svolta di una ricerca che dura da anni. Sicuramente quanto riportato alla luce darà un forte impulso al turismo della nostra zona, proiettando Mongiana a centro nevralgico dell’archeologia industriale dell’intera 



l'ingresso dell'Armeria ora sede del Museo

l'articolo della gazzetta del Sud



mercoledì 15 giugno 2016

Fratelli Bandiera: Risorgimento senza Eroi




l'Inno del Re di Giovanni Paisiello

Gott erhalte Franz den Kaiser...



Il risorgimento italiota è stato un movimento stentato, limitato, rachitico.
Le masse popolari, a chiunque analizzi con obiettività appare lapalissiano, non vi parteciparono: il cd. risorgimento fu fatto "senza il popolo" e anzi "contro il popolo".
I suoi eroi sono figure mediocri. di uomini politici di provincia, di intriganti, di intellettuali in ritardo sul loro tempo.

Ma  lentamente la coltre di menzogne si va squarciando.

"La dissoluzione del mito del risorgimento nazionale è uno dei risultati cui era già arrivata la critica  storica più spregiudicata" scrive Palmiro Togliatti già nel 1931.

E da allora altri passi sono stati fatti

Uno degli episodi più esaltati del Risorgimento è l’impresa dei fratelli Bandiera.



Affrontando le vicende dei famosi fratelli con la consueta serietà, Fulvio Izzo riapre un caso in passato chiuso troppo in fretta e che, invece, vale la pena di riesaminare con oggettività.
Analizzando le suppliche che i fratelli veneziani inviarono a Ferdinando II di Borbone e al ministro della polizia Del Carretto, viene fuori uno scenario complesso e ambiguo, da spy-story. Mazzini che ebbe modo di conoscere tutti i particolari del comportamento dei fratelli durante il processo e prima dell’esecuzione, compresa la proposta di rivelare tutto ciò che sapevano in cambio della vita. Commentò con rabbia, in una lettera “a Nicola” [Fabrizi]: « [...] Gli italiani sono troie.»


la fucilazione in una litografia acquerellata

Sabato 25 giugno alle ore 18, a Puccianillo, presso l'Arciconfraternita SS, Corpo di Cristo e Rosario in via Concezione, ne parleremo con Vincenzo D'amico, editore e con Fernando Riccardi, giornalista e autore di molti libri storici sul risorgimento e sul brigantaggio post-unitario.

stemma della Kaiserliche und Königliche Kriegsmarine

Attilio (24 maggio 1810) ed Emilio (20 giugno 1819), entrambi nati a Venezia, figli dell'ammiraglio della Kaiserliche und Königliche Kriegsmarine  Franz Freiherr von Bandiera e di Anna Marsich, erano a loro volta ufficiali della K.u.K. (Imperiale e Reale Marina da Guerra)aderirono alle idee di Giuseppe Mazzini e fondarono una loro società segreta, l'Esperia (nome con il quale i greci indicavano l'italia antica) e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Regno delle Due Sicilie.


Il processo che seguì la cattura dei sovversivi chiamò gli imputati a rispondere dei reati di:

-Cospirazione ed attentato all'ordine pubblico, il cui oggetto era quello di cambiare il Governo del Re Ferdinando II.
-Sbarco furtivo commesso a mano armata nel Regno con bandiera tricolore.
-Infrazione alle leggi sanitarie del Regno.
-Resistenza alla forza pubblica dei Comuni di Belvedere e Spinelli, la sera del 18 Giugno, in cui rimasero estinti il Capo e un individuo di G. Urbana, cioè D. Antonio Arcuri e Nicola Rizzuti, nonchè di ferite gravi in persona del Generale Bernardino Chiacchierella che gli produssero la morte, elasso il periodo di giorni nove.
Parimenti di attacco e resistenza alla forza pubblica di S. Giovanni in Fiore, il giorno 19 Giugnoin cui rimasero parimenti estinti , due di essi cospiratori , cioè Giuseppe Miller e Francesco Tesei.
-Finalmente per aver condotto seco loro carte e libri contenenti organizzazioni repubblicane , proclami , statuti e massime rivoluzionarie.

Il vulcano di patriottismo rivoluzionario, popolare, repubblicano , modulato su ispirazione democratico-Mazziniana e che costituiva l'"importante e necessario presupposto nel processo di liberazione dei popoli, si affievolisce, sino a scomparire del tutto , appena qualche giorno dopo lo sbarco, quando, chiusi nelle carceri Calabresi e sottoposti a processo , i "patrioti" rimeditano con più "cosapevolezza" la figura di Ferdinando II che da "villano spregevole", da re che opprime e perseguita, che a "riempito il nostro paese di vergogna e di obrobrio" , viene promosso "Sacra Real Maestà", "Sire Augusto", destinatario dei" migliori sentimenti di zelo e di ammirazione", la "vivificata immagine d'iddio in terra" (riscoprendo e restaurando la teologia politica del diritto divino dei Re), regnante sulle "province che hanno la felicità di essere rette dall'invitto vostro scettro", dotato da "così alti spiriti guerieri e di acuto intendimento" , destinato a "imprese gloriose , magnanime e benefiche", futuro "Luigi XIV del Regno d'Italia", padre che mantiene nel suo Regno "pace, contentezza e amore".


Ma ce n'è ancora: sono venuti nel Meridione per offrirsi "sentinelle perdute di quel Sovrano al quale avevamo dedicato ammirazione, fedeltà ed obbedienza illimitata"; per "vivere e morire sotto i gloriosi suoi stendardi(...) pur non avendo il vantaggio di appartenere al Vostro Regno"; Murat fallì il tentativo perchè non possedeva "nè la legittimità, nè l'integrità del Trono" che al Borbone discende dagli Avi (ancora un richiamo alla teologia regale che vede la legittimità non derivata dal popolo); si professano  "servi devoti e sicuri" diversificandosi" da quei non pochi che diedersi in braccio di repubblicane utopie come se fosse mai possibile (unire l'Italia) senza un freno di ferro che potesse e sapesse contenere gli inconsiderati (leggasi sconsiderati) concepimenti di una nazione non ancora matura per le forme costituzionali" (ma Attilio aveva un progetto di costituzione nello zaino); la loro "convinzione non era la scomposta e viziosa Italia costituita in Repubblica".
Infine, "ansiosi di poter divenire di Vostra Sacra Maestà Reale, sudditi fedelissimi" (e non cittadini) "prostrati nella polvere", desiderosi di chiamarlo padre, supplicano perdono sperando di divenire un giorno, istrumento non ultimo della gloria cui il Regno aspira.
Insomma, i componenti la spedizione (va ricordato che Attilio Bandiera scrive "in nome degl'infelici mie compagni di sventura, ansiosi di poter divenire sudditi fedelissimi") dissimulano totalmente sia quello che sono sia quello che scrivono, preannunciando la formazione di quel tipico carattere "italiano" che modellerà i futuri costumi politici con il vezzo delle "zone grigie", dove tutto si mescola e si fa fatica a capire.

Emilio Bandiera nella lettera "Memoria diretta da Emilio Bandiera ai componenti il Tribunale Milatare" arriva ad affermare addirittura che "Ferdinando II non solo favoriva, ma era il misterioso autore della sollevazione Calabrese". 

Secondo il Bandiera, Ferdinando II, per non compromettersi con i Gabinetti europei, anzi per sviarne i sospetti, avrebbe segretamente assecondato gli insorti per poi, di fronte al rivolgimento popolare compiuto, essere costretto a concedere le guarentigie costituzionali e da qui a prendere la direzione dell' "impresa nazionale" , il passo sarebbe stato breve.

Le farneticanti affermazioni del Bandiera cozzano contro il muro della realtà oggettiva. La politica estera di Ferdinando II di Borbone-Due Sicilie non ha mai contemplato progetti di leadership unitaria; il Re non volle mai ingerirsi nella così detta "questione Italiana", per non ledere i diritti degli altri Principi d'Italia e sopratutto del Pontefice. 





i "baroncini" von Bandiera, disertori della K.u.K.


 proclama dei baroncini f.lli von Bandiera. In realtà a chiamare "briganti" le popolazioni delle Due Sicilie sarànno proprio i fratell(astr)i italiani.

terza lettera scritta alla Sacra Maestà del Re. si noti la grande diversità con la precedente. Ah,  in queste lettere il barncino si ricorda improvvisamente del titolo.










giovedì 9 giugno 2016

Agrigento, ritorno al passato Il sindaco: si chiamerà Girgenti





Agrigento, ritorno al passato.
Il sindaco: si chiamerà Girgenti 
(ma solo nel centro storico)

L’aveva suggerito Andrea Camilleri e il primo cittadino Lillo Firetto lo ha fatto: si torna al nome che la città dei Templi aveva fino al 1927 quando il Duce volle cambiare. Lo scrittore: «Agrigento mi fa pensare al fascismo, Girgenti a Pirandello»

Con l'approssimarsi della consultazione elettorale la notizia ci era quasi sfuggita. E sarebbe stato un vero peccato perché la notizia è ghiotta e importante.

Sapete tutti che dopo la perdita della nostra indipendenza, l'invasore cercò in tutti i modi di rescindere il legame con il passato con un'opera di disinformazione degna di miglior causa.

Così, parafrasando il sottotitolo della celebre opre di Pino Aprile "Terroni", da Meridionali (meglio, da Napoletani o si direbbe oggi Duosiciliani) diventammo "italiani del Sud", "della Bassa Italia".

E divenimmo "curte e mire" (come dice la canzone) ma anche ricettacolo delle turpitudini più aberranti, la nostra Terra devastata (lo è ancora oggi), le nostre donne stuprate (anche questo perdura tutt'oggi anche se ora ci pensano gli immigrati,   le nostre ricchezze rubate insieme con la nostra identità e l'orgoglio di appartenere ad uno Stato nazionale, il primo della penisola, il più esteso, ricco ed importante.

Le nostre tradizioni violentate, i nostri Sovrani divennero i peggiori tiranni (e non lo erano affatto) continuando un opera cominciata anni prima per preparare la conquista manu militari della nostra Patria.

Per rescindere meglio i legami con il passato anche gli odonimi vennero cambiati. Scomparvero i gigli, scomparvero le corone (quella ducale di Napoli, legata al ducato bizantino, venne sostituita da una anonima corona turrita), spuntarono a migliaia le vie intitolate a Mazzini, Cavour, Cialdini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II.

Anche i nomi delle città, dei luoghi, furono cambiati. Mola di Gaeta, da dove i piemontesi sparavano su la fortezza di Gaeta, unita a Castellone prese il nome di Formia nel 1862. Nel 1863 San Germano divenne Cassino.

Un nuovo attentato alla nostra identità e Storia venne poi con la venuta del fascismo quando la provincia di Terra di Lavoro venne smembrata poi addirittura soppressa. L'Alta Terra di Lavoro divenne parte del Lazio. Anche parte degli Abruzzi fecero la stessa fine.

Tra i tanti nomi cambiati in questo periodo ne ricordiamo due: Monteleone (era già divenuta Monteleone di Calabria) nel 1927 divenne Vibo Valentia; Girgenti, sempre nel 1927, ebbe il nome cambiato in Agrigento.

Le cose stanno lentamente cambiando attraverso il lento processo di acquisizione di consapevolezza di quello che veramente fu il "risorgimento".

Grazie all'opera di Carlo Alianello, Angelo Manna, Franco Molfese, Gabriele Marzocco, Silvio Vitale ed in tempi più recenti di Aprile, si sono ottenuti alcuni ottimi risultati, impensabili fino a poco tempo fa: Tanti comuni stanno "sfrattando" i vari Cialdini, Mazzini, Garibaldi sostituendoli con altri nomi.

Addirittura  stanno "spuntando", sempre più frequentemente, strade e piazze intitolate non solo a Sovrani della antica Casa Regnante di Borbone delle Due Sicilie (Francesco II, Ferdinando II, Carlo di Borbone (ultimo in ordine di tempo: Sant'Arpino in Terra di Lavoro), Maria Sofia), ma anche al capitano del Real Esercito di Sua Maestà il Re del Regno delle De Sicilie,  Cosimo Giordano (Cerreto) o a vittime dell'amore fraterno dei piemontesi nei nostri confronti come Concetta Biondi.

Ed è recentissima, aprile scorso, la bella notizia cui rischiavamo di non dare il risalto che merita: Girgenti riprende il suo nome, almeno per quanto riguarda il suo centro storico.

Saremmo stati più contenti se l'intero comune avesse ripreso il suo antico nome ma anche così va più che bene. Un sentito ringraziamento quindi a Camilleri che ha suggerito questo cambio ma soprattutto al sindaco Calogero Firetto (detto Lillo) che lo ha attuato in tempi così rapidi.

Ne siamo particolarmente lieti sia per tutti i motivi ricordati sopra ma anche perché Girgenti ci ricorda S.A.R. il Principe Gaetano Maria Federico di Borbone delle Due Sicilie, Conte di Girgenti, settimogenito di S.M.  Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie.

S.A.R. il Principe Gaetano di Borbone delle Due Sicilie, Conte di Girgenti

Vi proponiamo quindi questo articolo del 26 aprile u.s..



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Andrea CAmilleri

Decreto n.865 dell'11 luglio 1826 con cui il comune di Montaperto è riunito al comune di Girgenti




Il nucleo storico dell’abitato di Agrigento, quello arabo-normanno-chiaramontano, tornerà a chiamarsi “Girgenti” così come veniva fino al 1927. Lo ha decretato una Delibera della Giunta Comunale di Lillo Firetto approvata nella tarda mattinata di oggi che sancisce definitivamente come il centro storico della città dei templi torni a chiamarsi Girgenti. Un’iniziativa pienamente condivisa dalla Soprintendenza dei Beni Culturali e da storici e studiosi di storia locale che hanno ritenuto come il nome Girgenti,  così tante volte descritto e citato nelle opere del Premio Nobel, Luigi Pirandello, non possa essere destinato all’oblio della storia ma debba invece essere ricordato e ripreso se non altro come toponimo di una parte, quella storica e medievale di Agrigento.




Dunque il toponimo Girgenti d’ora in avanti caratterizza un percorso che, muovendo dalla Porta dei venti, a nord, abbraccia in senso orario la chiostra muraria fino alla chiesa della Madonna degli Angeli e da lì, in direzione nord-sud fino alla chiesa di San Pietro; da essa, l’intera chiostra che va per la Porta dei panettieri, quella dei Saccaioli o Santa Lucia e quella di Marte; quindi, risalendo di poco, l’intero quartiere del Rabato fino a raggiungere e percorrere verso nord-ovest la salita San Giacomo, l’istituto Gioeni, l’antico Steri o Seminario da dove seguendo le mura naturali e il balzo del colle (San Gerlando, Episcopio, Castello vecchio o dell’Itria) si congiunge col punto di avvio e cioè con la Porta dei venti.


L’intento dell’Amministrazione Comunale è di dare un forte impulso a questo percorso storico-culturale legato al toponimo Girgenti, percorso di rivitalizzazione della memoria identitaria cittadina tenuto conto che la storica denominazione di Girgenti, costituisce un lascito della letteratura e della tradizione locale qualificandosi come bene culturale immateriale inscindibilmente connesso alle sopravvivenze storiche del centro urbano. 

L’assegnazione del toponimo Girgenti – ha detto il sindaco Lillo Firetto – caratterizza il cuore culturale della città!”.


Ho sempre preferito chiamarla Girgenti e quindi quella di oggi è una restituzione all’antica storia di Agrigento, che il fascismo volle chiamare così, ma che per me è sempre stata e rimarrà “Girgenti!”. Così lo scrittore Andrea Camilleri cittadino onorario di Agrigento ha commentato nel pomeriggio con il sindaco Lillo Firetto, la decisione dell’Amministrazione Comunale di tornare a chiamare l’antico centro storico della città dei templi, quello del Rabàto arabo normanno chiaramontano, con il toponimo di Girgenti.


Atto Sovrano n. 9912 del 12 gennaio 1846 con cui il Principe Gaetano viene investito del titolo di Conte di Girgenti



Calogero Firetto (Lillo), sindaco di Girgenti






Il cielo