domenica 13 aprile 2014

Nata con un vizio di origine l'Italia si sta frantumando

di Fernando Riccardi


Troppo presi dai giochi di palazzo ai quali la politica ci ha ormai abituati, quasi non ci accorgiamo che l'Italia si sta spappolando, sta crollando rovinosamente, in una parola sta perdendo la sua compattezza. Ammesso poi che essa sia mai stata unita per davvero. Il recente plebiscito che ha chiamato ad esprimersi più di 2 milioni di cittadini del Veneto i quali, con una maggioranza bulgara (l'89%), hanno dichiarato di volersi affrancare dallo stato italiano fin troppo rapace e patrigno, è soltanto l'ultimo atto di un processo di sfaldamento che, prima o poi, interesserà altri pezzi della nazione.



E non è poi così importante sapere chi per primo tra Trentino, Friuli, Lombardia, Toscana, Sardegna o Sicilia, si incamminerà sulla strada che conduce alla autonomia da un Stato che non è più tale. Il Veneto, in tal senso, potrebbe aver acceso la miccia indicando il percorso da seguire, avendo sempre come irrinunciabile stella polare il principio dell'autodeterminazione dei popoli. Principio che sancisce il diritto di un popolo di poter scegliere in maniera autonoma il proprio ordinamento statuale e politico. E stiamo parlando, si badi bene, non di una pratica antidemocratica ma di una norma di diritto internazionale che produce effetti giuridici in tutti gli stati, ivi compreso l'ordinamento italiano. Ma non è proprio di questo che vogliamo parlare. Né degli effetti concreti che produrrà nel paese il plebiscito veneto. Anche se la reazione immediata e scomposta della magistratura la dice lunga sui timori che regnano in alto loco dove, in ossequio alla sempiterna logica gattopardesca, tutto si manovra affinchè niente possa cambiare. Invece, scavando un po' più all'interno del problema, la domanda che vogliamo porre è la seguente: perché tanti pezzi d'Italia vogliono affrancarsi dallo stato nazionale?  Venti anni fa era solo la Lega a parlare di secessione, di allontanare il Lombardo-Veneto, cuore pulsante dell'economia nazionale, da “Roma ladrona”. E per questo fu più facile spegnere il fuoco che pure bruciava impetuoso. 



Quando poi gli esponenti leghisti rimasero invischiati nelle subdole pastoie governative e parlamentari (ricordate come Bossi era corteggiato, alla stregua di una bella donna, sia da destra che da sinistra?), i toni fatalmente si stemperarono e si passò dalla secessione al federalismo. Ora, però, la situazione è diversa e le spinte autonomiste, alimentate vigorosamente dal malcontento e dalla disperazione, sono variegate e provengono da più parti e da diverse latitudini. A dimostrazione che più di qualcosa non regge più. Oggi è lo Stato unitario che viene messo pesantemente in discussione e siccome, Renzi o non Renzi, nessuno crede più nei miracoli, si va alla ricerca di altre ricette, tra cui quelle dirompenti legate all'identità ed all'autonomia. Proprio il messaggio forte e chiaro che scaturisce da quel plebiscito veneto che non è la subdola messa in scena orchestrata nell'ottobre del 1860 da Cavour e dai suoi sodali per legittimare, con un voto palesemente taroccato, l'aggessione “manu militari” al meridione della Penisola, ma un qualcosa di tremendamente serio che i distratti osservatori dei giorni nostri farebbero bene a non sottovalutare. E, a proposito di storia, non si può dimenticare il modo, a dir poco antidemocratico, con cui si raggiunse la cosiddetta “unità d'Italia”. Garibaldi prima e i Savoia subito dopo, non ci pensarono su due volte a costringere sotto uno stesso tetto regioni e popoli che da sempre avevano goduto di una ampia e totale autonomia. E lo fecero usando la forza devastante delle armi e i metodi brutali dei colonizzatori. Altro che anelito insopprimibile di fratellanza... Sapete poi come, nel 1866, il Veneto entrò a far parte dell'Italia? Finita la cosiddetta III guerra di indipendenza, l'Italia, alleata con la Prussia contro l'eterna nemica Austria, non era riuscita a cavare con le operazioni militari un ragno dal buco. Anzi, ad onor del vero, aveva subito una disastrosa sconfitta navale in quel di Lissa (20 luglio).  


Per fortuna qualche giorno prima, a Sadowa, in Boemia, i prussiani avevano sconfitto nettamente gli austriaci che si videro costretti a chiedere un armistizio (26 luglio). Radunatosi il tavolo delle trattative l'Austria pensò bene di cedere il Veneto a Napoleone III di Francia e non all'Italia. Soltanto il 19 ottobre, a Venezia, la vicenda vedeva la sua conclusione con la Francia che impose un curioso escamotage: il Veneto, prima di passare all'Italia, sarebbe stato consegnato a tre notabili locali. E così, in una anonima stanza dell'Albergo Europa, il generale austriaco Moering firmò la cessione del Veneto al commissario francese. Trenta minuti dopo i francesi passavano il Veneto ai nobili Gaspari, Giustiniani-Recanati e Emi-Kelder. Quest'ultimo, costretto a letto da una malattia, firmò il documento in una camera dell'Albergo Baviera. Quindi, in rapida successione, i notabili cedevano il Veneto all'Italia. E così tutto fu compiuto. L'antica terra della gloriosa Repubblica di San Marco diventava definitivamente italiana. Così laconicamente annunciava la “Gazzetta di Venezia”: “Questa mattina, in una camera dell'albergo Europa, si è fatta la cessione del Veneto”. Il 21 e 22 ottobre si tenne la solita “farsa” del plebiscito con il quale si chiamavano i veneti a pronunciarsi sull'annessione all'Italia. La solita efficiente organizzazione sabauda, molto più abile negli intrallazzi politici che sul campo di battaglia, preparò le cose per bene enfatizzando la ferma volontà della gente del posto ad abbracciare la bandiera tricolore. Cosa, di fatto, inesistente. Il risultato comunque fu schiacciante: 641.757 si, 69 no e 366 schede nulle, pari ad una percentuale del 99%. Ora è curioso il fatto che  dopo 148 anni si è tenuto un altro plebiscito che, questa volta, ha dato un risultato diametralmente opposto sancendo la volontà dei veneti di tornare con il Leone di San Marco. E' questo l'inizio di un inarrestabile processo di disgregazione che, prima o poi, interesserà altri pezzi importanti del nostro paese? Difficile dirlo. Certo è, però, che dopo 150 anni o giù di lì, iniziano a venire fuori tutte le crepe di una architettura statale mal congegnata e nata all'insegna della violenza e della sopraffazione. Un vizio di origine che non è mai stato sanato e di cui oggi continuiamo a pagare le nefaste conseguenze. E allora cosa si fa? Niente altro che aspettare il prossimo rigurgito di autonomia. E poi un altro ancora. Fino a quando il tutto si frantumerà rumorosamente in tanti pezzi, grandi o piccoli che siano. D'altro canto, come era solito dire l'arguto filosofo napoletano Giovanbattista Vico,“historia se repetita”.



1 commento:


  1. nella nostra cerchia, una volta ristretta ma oggi sempre piu numerosa, ci
    sono molti sommi ed uno tra questi e fernando riccardi giornalista e storico
    identitario che qualche giorno fa ha scritto un editoriale sul giornale
    l'inchiesta parlando del referendum in veneto. insieme a beppe grillo, a
    proposito invito molti amici a riflettere sui ragionamenti delle persone senza farci
    condizionare dall'antipatia che possiamo nutrire sul ragionatore quindi se
    beppe grillo non ci sta simpatico ma alcune cose che dice ci piacciono ma che ce
    ne fotte!!!!, è stato l'unico che ha trattato in modo approndito l'argomento
    e mio giudizio ha realizzato un vero e proprio manifesto politico.
    alcuni di noi vorrebbero un giorno svegliarsi e vedere su palazzo san
    giacomo insieme alla bandiera europea la bandiera bianca gigliata con napoli
    di nuovo capitale e a chi non piacerebbe? ma purtroppo non credo sia una cosa
    possibile nell'immediato ma se analizziamo la storia ricordandoci delle
    teorie del vico, possiamo intraprendere lo stesso percorso di un migliaio di
    anni fa dopo l'impero romano. oggi siamo a fine impero come allora e dopo i
    secoli bui delle invasioni barbariche napoli ed alcune citta del sud
    divennero citta ducali autonome, primo esempio di federalismo sul territorio
    italico, per poi divenire dopo un paio di secoli con il regno di ruggero
    d'altavilla capitale di uno stato per volonta popolare. le masse non potevano piu tollerale la prepotenza
    e dispotismo dei baroni e accettarono con gioia la nascita di uno stato centralizzato, oggi a napoli non si sta vivendo la stessa cosa?le
    masse popolari non sono esauste dalla politica disfattista della classe
    dirigente che è ben piu avida e opulenta di quella che precedette il primo
    trono di ruggero?almeno quelle lottavano e combattevano tra di loro a loro e rischio pericolo mentre le contemporanea sono anche vigliacche e codarde.
    io pensa che la situazione, pero, è ben peggiore oggi perche napoli e un
    capoluogo di provincia di una regione della colonia di una sub-nazione,
    definizione di un altro sommo come nicola zitara, e non piu capitale. la suddetta classe
    dirigente, i nipotini di don liborio, si arricchisce con i denari che arrivano dallo stato centrale
    senza lavorare e fare nulla e con la protezione della guardia pretoriana chiamata camorra. somiglia al
    periodo del viceregno spagnolo?forse si ma non è comunque capitale. a mio modesto avviso bisogna ripartire attraverso una forma di
    autonomia locale partenopea non come citta ducale somigliante a quella del passato ma come citta stato. pensare che possa diventare subito capitale di uno stato non credo
    che sia attuabile anche perche c'è un razzismo diffuso su tutto lo stivale contro i napoletani che lo impedisce da subito e non sarebbe conosciuta come
    tale nemmeno al sud. come primo passo diventare citta stato credo che sia la cosa piu attuabile e certamente, dopo poco, con
    tutta l'energia vitale e la creativita che si sprigionerebbe a largo raggio almeno il sud della penisola rimarra contagiato
    e riconoscera di nuovo napoli capitale. bisognerebbe sapere cosa ne pensano gli americani, la perfida albione se sara disposta a far rinascere
    un qualcosa che ha distrutto, se la germania che ha il potere commerciale in europa potrebbe
    sopportare un competitor nuovo e di qualita io questo non lo so e forse le mie sono solo utopie ma i cristiani non ha coltivato le utopie per 200
    anni nelle catacombe?
    comunque grazie a riccardi per il bel pezzo che ha scritto, spero che in molti lo leggerete e lo diffonderete perche l merita e non poco

    un saluto a tutti

    claudio saltarelli

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