lunedì 28 marzo 2011

Civitella del Tronto, in memoria dei soldati napoletani


Riportiamo l'intervento commemorativo del Cav. Giovanni Salemi in occasione del XLI incontro tradizionalista di Civitella del Tronto, 27 marzo 2011.

CIVITELLA DEL TRONTO - Mio compito è commemorare il soldato napoletano, meglio ancora il soldato delle Due Sicilie in quanto espressione di entrambi i Regni di Napoli e di Sicilia, costituenti, uniti, l’antico reame. Cercherò di farlo nel modo migliore impegnando tutta la mia passione per la nostra antica Patria, questa sì bella e perduta. Abbiamo visto, dopo 150 anni, oggi 27 marzo 2011 risalire orgogliosamente sul pennone di questa fortezza la bandiera con le armi di Casa Borbone, la bandiera nazionale dell’antico Regno del Sud, quella per la quale il soldato delle Due Sicilie combatté, soffrì e si sacrificò. Ad essa abbiamo reso gli onori noi tutti. Le note dell’inno reale delle Due Sicilie hanno completato questo rito contribuendo ad aumentare l’emozione che questa cerimonia dell’alzabandiera in un luogo sacro al ricordo, come questa fortezza, ha suscitato in tutti noi. Prima di tutto, però, desidero inviare un saluto devoto alla Real Casa di Borbone Due Sicilie quale pegno di perenne fedeltà ed attaccamento. 
Fondato da Carlo di Borbone e potenziato sotto il regno di suo figlio Ferdinando IV, l’esercito napoletano seppe affrontare le sfide che la storia pose ad esso innanzi guadagnandosi sempre encomi e lodi. Le formazioni napoletane dettero ottima prova, nell’impegno contro i francesi, a Tolone nel 1793 e sui campi della Lombardia nel 1796 dove rifuse, nella battaglia di Lodi, il valore e la capacità della cavalleria che con cariche coraggiose arrestò l’impeto francese proteggendo la ritirata dell’alleato esercito austriaco. Lo stesso Napoleone, che per via dei mantelli bianchi dell’uniforme la definì il corpo dei “diavoli bianchi”, ammise di averne ricevuto molto danno. Un tale giudizio mi sembra il miglior encomio. 
Ancora dopo, all’atto della seconda invasione francese, numerosi fatti d’arme illustrarono la virtù guerresca dei nostri soldati che, questo va detto, si batterono spesso con l’aiuto delle popolazioni: la resistenza di Gaeta e di Civitella del Tronto (1796), lo sbarco di Maida, la battaglia di Mileto, la resistenza di Amantea sono solo alcuni dei numerosi episodi bellici. Sempre l’esercito fu ricostruito e sempre, con animo indomito, affrontò il nemico. Furono veramente pochi gli stati europei che, come quello napoletano, si opposero per oltre quindici anni, con tanta costanza e tenacia, ai francesi. 
Voglio però ricordare in particolare, una istituzione militare che fu voluta da Ferdinando IV e che rivestì in tutta la storia militare del Regno un ruolo importante quale fucina di uomini e di soldati: intendo parlare dell’Accademia Militare della Nunziatella, costituita nel 1787 a Napoli, unificando tutti gli istituti militari di istruzione già esistenti. Essa fu voluta da quel Re con uno scopo ben preciso che è ben chiarito dalla scritta sulla lapide tuttora presente sul portone di ingresso di tale scuola: “Questa Accademia, perché dell’arte della guerra e degli ornati costumi la militar gioventù ottimamente ammaestrata crescesse a gloria e sicurezza dello Stato Ferdinando IV con regal magnificenza fondò l’anno 29° del suo Regno”. Oggi questo istituto, orgoglio di Napoli e del Sud, ancora vivo e vegeto, seppure declassato dopo il 1860 da Accademia a Scuola di Formazione per l’ammissione alle Accademie Militari, continua, nel solco tracciato dal suo fondatore, Re Ferdinando IV, la sua funzione di preparazione “alla vita e alle armi” ed è l’unica istituzione militare dell’antico regno sopravvissuta alla distruzione del nostro passato operata nel 1860. 
Se la vittoria finale non arrise alle nostre armi nella Campagna del 1860/61, non fu certo per mancanza di valore, ma essenzialmente perché una specie di maledizione attanagliò i comandi superiori si che le azioni furono mal guidate o interrotte e spente dando così la vittoria al nemico. Comunque anche quella campagna fu costellata di episodi bellici memorabili in cui i nostri soldati rifulsero per valore, fedeltà e animo: Calatafimi dove fu strappata la bandiera ai garibaldini ad opera del Cacciatore Luigi Lateano dell’VIII battaglione; a Milazzo; a Porta Termini a Palermo; a Reggio Calabria; a Caiazzo; a Capua ed in tutta la battaglia del Volturno; a Cascano di Sessa; al Garigliano ed ancora in tante altre occasioni. Da ricordare è il bellissimo esempio di fedeltà e di senso di onore militare dato dai numerosi soldati dei reparti sbantadisi in Calabria, per incapacità o fellonia dei capi, che raggiunsero sul Volturno il loro Re per offrirgli la vita e anche quei reparti che, ben comandati da capi onorati, rimasero organicamente uniti e raggiunsero anch’essi il loro Re, come il IX reggimento fanteria “Puglie” che, sotto la guida del colonnello De Liguoro, bandiera spiegata in testa e tamburi battenti, in perfetto ordine, uscì da Napoli per andare a Capua. 
E fu a Gaeta dove si compì il destino dell’esercito e del Regno tutto, che, con la resistenza all’assedio, si ebbe l’epopea finale che fu corroborata dalle altrettanto eroiche resistenze di Messina e di Civitella. A Gaeta dettero magnifica prova i Cannonieri di marina ed altri marinai che, sbarcati dalle navi che comandanti felloni avevano consegnato al nemico si batterono anch’essi da leoni. 
A Messina il prode maresciallo Fergola condusse la valorosa resistenza tenendo testa agli attacchi dell’artiglieria piemontese e all’arroganza del codardo Cialdini che approfittando della sua migliore posizione arrivò a far processare quegli ufficiali che più degli altri si erano adoperati a sostenere la resistenza. 
A Civitella poi, in particolare, i difensori raggiunsero il massimo dell’eroismo. Essi rifiutarono la resa anche dopo aver appreso dal Generale piemontese Della Rocca, la volontà del Sovrano che voleva risparmiare altri lutti. Si comportarono, apparentemente, da folli e potrebbero essere accostati ad altri esempi di valore come il piccolo Carmelo di Compiégne, isolato dalla Gerarchia e aggredito dalla Rivoluzione nei giorni del Terrore giacobino, non cedette. E come quelle sedici Carmelitane fecero voto al martirio per non tradire la fedeltà alla regola, così quei cinquecento difensori di Civitella votarono le loro vite per testimoniare al mondo e alla storia che il Mezzogiorno non era stato “liberato”, ma proditoriamente conquistato. Erano soldati cristiani, credenti nella sacralità della vita alla quale non si può volontariamente rinunciare se non per il martirio, cioè la testimonianza. Quei soldati, ormai soli, furono sordi anche alla voce del loro Re, la cui ansia di risparmiare lutti soverchiava il desiderio di difendere il trono. Sapevano però che il loro sacrificio non sarebbe stato vano, perché sarebbe assurto a testimonianza di quella fede che si comunica e si tramanda solo con l’esempio. Quei nostri soldati di Civitella, sono gli spiriti leggendari che ci radunano su queste alture e riempiono di significato queste giornate. 
Essi non ebbero onori postumi, non ebbero un ossario, non ebbero un monumento, non ebbero una stele od una lapide che li ricordasse, perché così si volle dal nuovo potere e dalla classe politica meridionale ad esso asservita. Noi li ricordiamo e li onoriamo con la Santa Messa che andiamo a celebrare nella cappella di questa fortezza dove ossa di quegli eroi furono ritrovate. In particolare il nostro ricordo va ai tanti soldati di cui non conosciamo il nome e che resteranno ignoti per sempre. Essi saranno sempre vivi nei nostri cuori. Onore e gloria, quindi, all’Esercito delle Due Sicilie ed onore e gloria ai suoi Morti.

                        Cav. Giovanni Salemi
                        Ex allievo Nunziatella
Presidente Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie


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