martedì 31 maggio 2016

PROSSIMI APPUNTAMENTI DELL'ISTITUTO



Venerdi 10 giugno 2016, alle ore 18,00, inizierà un ciclo di presentazioni presso l'Arciconfraternita SS. Corpo di Cristo e Rosario in Puccianiello.
La prima serata sarà dedicata alla presentazione del volume "Difesa dei soldati Napoletani". Il volume è stato scritto dal Maggiore di Artiglieria Carlo Corsi per difendere l'operato e le azioni dell'esercito delle Due Sicilie (Real Esercito di S.M. il Re del Regno delle Due Sicilie) nella campagna militare del biennio 1860-1861.
A curarne la riedizione è stata la casa editrice Ripostes mentre a scriverne la Prefazione è stato il Comm. Giovanni Salemi, Presidente del nostro Istituto.

A parlarne, oltre al nostro Presidente, il dr. Giuseppe Catenacci ed il giovane editore Vincenzo D'Amico.

Qui sotto alcune righe sul Maggiore Carlo Corsi raccolte dal compianto Barone Roberto Maria Selvaggi nel suo immortale lavoro "Nomi e volti di un esercito dimenticato". Appuntamento a Puccianiello per ricordare i valorosi napoletani dimenticati dalla storiografia ma non dai patrioti Napoletani.


CARLO CORSI
Napoli 24/5/1830 - Napoli 19/2/1905 Capitano di I Classe
"A sostituire il traditore Nicola Di Somma che aveva abbandonato la sua batteria, fu chiamato il capitano Carlo Corsi, figlio del colonnello Luigi Corsi, direttore dell'officina di Pietrarsa. Carlo Corsi era entrato alla Nunziatella a nove anni e ne era uscito alfiere d'artiglieria il 9 ottobre 1849. Dopo undici anni di carriera otteneva il suo primo comando di batteria e al Volturno trovandosi in riserva nella piazza di Capua fu chiamato dal Re in persona a coadiuvare l'attacco sul paese di S.Tammaro fortificato dai garibaldesi. Al comando del generale Sergardi appoggiò la cavalleria è con molta intelligenza e coraggio altissimo distruggendo più barricate fino ad occupare il paese, con questa motivazione fu decorato con la Croce di diritto di S.Giorgio. Il 29 ottobre la sua batteria fu la prima ad aprire il fuoco contro gli invasori che furono respinti con grandi perdite. Il 17 gennaio 1861 fu promosso maggiore per il valore ed il coraggio dimostrato per la difesa del regno. Irriducibile legittimista non volle entrare nell'esercito piemontese ed occupò il resto della sua vita a difendere la causa duosiciliana. Sul quotidiano borbonico "La discussione" pubblicò a puntate "Le memorie di un veterano". Nel 1861 scrisse un opuscolo dal titolo "Cenno biografico di Giuseppe Salvatore Pianell" destinato a fare passare delle spiacevoli giornate al generale prezzolato grande traditore del regno. Il Corsi inviò una copia dell'opuscolo al Pianell accompagnato da una nota a termine che diceva: "Và che la maledizione della Patria ti perseguiti fin nelle viscere dell'inferno con tutti i Traditori tuoi compagni". Nel 1903 oramai settantaduenne, riprese la penna per dare alle stampe un libretto che ebbe addirittura due edizioni, intitolato: "Confutazione alle lettere del generale Pianell", nel quale rispondeva alla sua maniera, alle affermazioni contenute nelle memorie del generale voltagabbana da poco pubblicate. Amava firmarsi, Carlo Corsi, maggiore delle artiglierie borboniche, capitolato di Gaeta"


domenica 29 maggio 2016

Eventi 28 maggio 2016



Il  28 maggio è stata una giornata importante  per noi tutti, innamorati delle Due Sicilie e fedeli Borboniani: due eventi si sono svolti, in mattinata e in serata, entrambi manifestazione di riconquista di orgoglio identitario e di incondizionata  espressione del nobile sentimento di amor di Patria.

aspettando l'inizio

In mattinata  ha avuto luogo lo svolgimento della cerimonia organizzata, sul suo territorio, dal Comune di Sant’Arpino in Provincia di Caserta, per l’intitolazione di una strada al Re Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese e vincitore delle milizie vicereali austriache nella battaglia di Bitonto del 1734.



Egli fu il restauratore della totale indipendenza e autonomia dell’antico Regno di Napoli e dell’altrettanto antico Regno di Sicilia, ai quali va riconosciuta come data di nascitain quanto Regni, la data del 1130  con il normanno Re Ruggiero.

Re Carlo
Tali Regni avevano sempre conservato la dignità Regia ma  divenuti poi Vicereami erano stati sottoposti a governi stranieri con la conseguente perdita di autonomia politica ed economica. Lo stesso Sovrano fu peraltro il fondatore della Dinastia di Borbone di Napoli e Siciliapoi divenuta delle Due Sicilie, e tale Dinastia, per accordi politici intercorsi e statuiti all’epoca, divenne per tali Regni garanzia di indipendenza assoluta.
Il Comune di Sant’Arpino, cogliendo l’occasione della ricorrenza del trecentesimo anniversario della nascita del Sovrano sopracitato, ha organizzato uno splendido evento che si è tenuto nel Teatro Lendi dello stesso Comune.

il dr. Aldo Zullo, Sindaco f.f. durante il suo intervento

La cerimonia si è snodata attraverso  equilibrati e saggi interventi di  personalità convenute che hanno ben evidenziato l’importanza  dell’opera di governo di questo Re che fu un Sovrano illuminato e  dette il via in maniera decisa e concreta alla rinascita dello Stato in ogni  campo e quel che più conta ridando ai popoli del Sud continentale ed insulare una vera e propria Patria con tutto l’orgoglio  identitario che ne consegue.

da sin. il Sindaco dr. Zullo, il prof. Gulì, il Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli il dr. Pompeo De Chiara, il prof. Limone, la Dirigente prof. Debora Belardo, la prof. Sonia Ebraico e l'Ass. alla Cultura Salvatore Brasiello.

Tutta la cerimonia è stata poi ulteriormente vivificata dalla presenza di intere classi dei due Istituti Scolastici, l'Istituto Comprensivo "V. Rocco - cav. A. Cinquegrana" e il Liceo Scientifico "G. Siani" di Aversa,   i cui Dirigenti hanno intelligentemente aderito alla iniziativa.

Il Marchese Sanfelice ed il Sindaco Zullo mostrano i crest che si sono vicendevolmente scambiati: quello del Comune e quello del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Gli stessi ragazzi  hanno materialmente partecipato leggendo passi di letteratura, coordinati dal prof. Gennaro Conte, con riflessioni sullo stato dell’antico Regno e di quanto accaduto  successivamente alla caduta dello stesso  a causa dei tristi eventi del triste 1860. L'orchestra dei ragazzi sempre ben diretta dal prof. Pasquale Palmiero ha suonato l’Inno del Re, Inno Nazionale del Regno delle Due Sicilie (musica di Giovanni Paisiello di cui quest'anno ricorre il II centenario della morte) ed il coro, sempre di ragazzi e diretto dalla prof. Fabrizia Cinquegrana, ha cantato le canzoni “Brigante se more “e “L'Inno dei Sanfedisti” o "Carmagnola".
Il tutto in un tripudio di Vessilli Bianchi con le Armi di Casa Borbone.
Successivamente, il momento clou: lo scoprimento della targa e la benedizione della stessa.

il momento dello scoprimento
il momento della benedizione. alle spalle del sig. Marchese il nostro Presidente comm. Giovanni Salemi

Un grazie va a tuti gli organizzatori e a tuti quelli che hanno contribuito con il loro intervento alla riuscita dell’eventoL’Associazione  Culturale Borbonica di Terra di Lavoro con il prof. Vincenzo Gulì e il dr. Pompeo De Chiara, i due Istituti con le dirigenti prof. Debora Belardo e prof. Sonia Ebraico in rappresentanza della dr.ssa Rosaria Barone, il Delegato per  Napoli e Campania del SMOC di San Giorgio Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, le Autorità Comunali di Sant’Arpino,  l'Assessore alla Cultura  Salvatore Brasiello insieme con il Sindaco f.f. dr. Aldo Zullo, il Prof. Giuseppe Limone Ordinario di Filosofia del Diritto e della Politica del Dipartimento di Giurisprudenza della SUN di Napoli.

In serata  invece abbiamo assistito ad  un bellissimo spettacolo teatrale messo in scena, a cura della Pro Loco di San Leucio, nel teatro annesso alla Chiesa di Puccianiello con un testo scritto e diretto da un giovane, ma molto promettente regista casertano, Fausto Bellone.
un altro momento dello spettacolo con due brigantesse

Lo spettacolo in un atto unicointitolato “Non resterà pietra su pietra”, altamente drammatico, per il soggetto e per la scenografia e coreografia, ha avvolto tutti gli spettatori portandoli all’interno del dramma che esso racconta

il brigante e la sua donna, appena sposati, poco prima di venire uccisi dai piemontesi.

Si tratta infatti del ricordo di un eccidio tremendo che causò oltre 550 morti  quale fu quello perpetrato da truppa del Regio Esercito Italiano (così era stato rinominato l’Esercito del Regno di Sardegna  - i Piemontesi - ) il 14 agosto 1861 nella rappresaglia effettuata a carico dei Comuni di Casalduni e Pontelandolfo a cui fu dato fuoco senza permettere a chi era ancora in casa di scappare, in risposta ad una azione bellica condotta da banda di insorgenti guidata da un antico capitano dell’Esercito Napoletano, Cosimo Giordano, e diretta contro un Reparto Militare senza compromissione di civili.

il gen. Cialdini impartisce gli ordini che condanneranno Pontelandolfo e Casalduni.

Come già detto spettacolo di grande emozione, molto coinvolgente e utilissimo per rendere noto un episodio tra i tanti di quella vera e propria guerra civile che per circa un decennio continuò ad insanguinare il Sud nell’estremo tentativo di sottrarlo ad una conquista alla quale era stato condannato dagli eventi storico-politici mal condotti e dai rapporti internazionali, ma anche da quanto di peggio può capitare ad uno Stato, l’azione  deleteria di corruzione delle coscienze  svolta per lo più dalla classe medio-alta anche in chiave antireligiosa, al fine di ottenere il massimo vantaggio economico, anche, ed è il colmo della ignominia, a costo di far scomparire dalla carta politica d'Europa ogni traccia dello Stato stesso ossia della propria Patria.

il regista Fausto Bellone (centro) circondato dagli attori

Perciò un grazie grandissimo va a tutti quelli che per tale fine si sono adoperati e per tutti cito e saluto il Presidente della Pro Loco di San Leucio drDonato Tartaglione e il regista e autore drFausto Bellone.

                                                                                                  Giovanni  Salemi
                                                                        Presidente Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie




martedì 17 maggio 2016

Attualità del Diritto naturale



Interessantissimo come sempre il convegno sul "Diritto Naturale" che come ogni anno si svolge nella sala San Tommaso di San Domenico Maggiore.

Pubblichiamo volentieri la locandina e invitiamo tutti a parteciparvi.

Il parterre di relatori di grande caratura è garanzia che non ve ne pentirete.





sabato 7 maggio 2016

“GIORNATA DELLA MEMORIA” del Regno delle Due Sicilie, ovvero del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia

“GIORNATA DELLA MEMORIA” del Regno delle Due Sicilie


Un plauso al nostro "instancabile" amico Claudio Saltarelli, presidente dell'Associazione Identitaria Alta Terra di Lavoro, ed alla sua bella iniziativa della "giornata della memoria" e di cui volentieri pubblichiamo la notizia.



Ogni volta che c’è una giornata della memoria di altre comunità noto che molti napolitani sentono il bisogno di ricordare i nostri defunti e da tempo questa cosa mi fa molto pensare e riflettere arrivando alla conclusione che è arrivato il momento di creare una giornata della nostra memoria. più volte ho cercato di parlarne ma senza…….. 
avere riscontro ed allora da qualche mese ho cercato, insieme all’associazione che rappresento nell’alta terra di lavoro, di individuare una data adatta e che abbracciasse varie dinamiche, identitarie, religiose, storiche e abbiamo deciso con molta umiltà, sobrietà e senza personalismi di commemorare annualmente il 12 maggio chiedendo a tutti di fare altrettanto. Non è necessario venire ad isola del liri, anche se per il primo anno sarebbe inmportante vedere la chiesa piena, ma ovunque vi trovate nel mondo in quel giorno pregate, riflettete, contemplate, dalla sera prima accendete una candela fuori la finestra e fate dire una messa alle 18.  Non è giornata di eventi, di congressi, di bandiere associative perché è dedicata alle nostre anime sante. Di seguito un piccolo saggio storico di fernando riccardi su quanto è accaduto il 12 di maggio del 1799, allora giorno di pentecoste, ad isola liri, un manifesto che è a disposizione di tutti e  ogni anno sarà sempre lo stesso dove è indicato solo il giorno senza anno e numerale e un regolamento che detta linee guide che non sono nostre ma di tutti. Il tutto è stato benedetto da padre Don Antonio Colella alla chiesa di San Giovanni di Cassino, già San Germano, il giorno 31 di marzo alle ore 08;30.
     Già ho sentito dire che fare una messa se ci sarà poca gente a che serve? Ripeto quanto scritto sopra non è una giornata di eventi o convegni ma una giornata dedicata alle nostre anime sante e far dire una messa e come farla dire ai nostri cari più stretti. Quando lo facciamo per i nostri cari se la chiesa è vuota desistiamo? Quindi se avete paura di far celebrare messa per pochi intimi lasciate perdere perché non sono le nostre anime ad aver bisogno di noi ma noi di loro. Di seguito anche il regolamento che vi invito a leggere più volte prima di esprimere un giudizio definitivo.
Claudio Saltarelli

il manifesto dell'iniziativa


Il massacro di Isola Liri

Il 12 maggio del 1799, continuando nella loro fuga verso Roma, giunti a Isola Liri, le milizie giacobine del generale Watrin, trucidarono ben 537 persone, tra cui 350 poveretti che avevano trovato rifugio nella chiesa di San Lorenzo. “Giunti in prossimità del borgo, trovando le porte sbarrate, gli ufficiali francesi inviarono due dragoni a parlare con gli insorgenti isolani affinché fosse lasciato loro libero il transito. Dalle mura della città, invece, partì una fitta scarica di fucileria che uccise i due soldati. Ciò scatenò la furiosa reazione dei francesi che, guadato il fiume, mentre Mammone e i suoi accoliti si davano alla fuga, entrarono in Isola e dettero inizio alla mattanza con tanto di saccheggi, distruzioni, incendi, stupri e furti sacrileghi nelle chiese dove fecero scempio di reliquie e di oggetti sacri”.
Isola del Liri

Fu un giorno terribile per Isola Liri, di certo il più nefasto della sua lunga storia. Così l’arciprete-canonico Nicolucci annotò nel registro dei morti della chiesa di San Lorenzo: “12 maggio 1799. E’ degno di memoria, né mai da dimenticarsi questo giorno di Pentecoste, in cui il pazzo impeto dei Francesi travolse nella rovina noi e le nostre case, facendone strage.
Isola in una illustrazione del 1862


Tutto devastò, tutto rapì il nemico: non scamparono al bottino né greggi, né armenti; non sopravvisse uomo; non vi fu donna, ancorché fanciulla, non contaminata dalla violenza dei soldati; quegli empi profanarono gli altari e le cose più sacre. Chi vuol saperne di più, legga a pag. 263 di questo libro la dolorosa nota, e vedrà perché un solo medesimo giorno registri la morte di cinquecento e più persone”. L’episodio venne descritto anche dal Colletta: “… fuggirono i borboniani, di poco scemati, e superbi di quella guerra e delle morti arrecate al nemico. Il quale sfogò lo sdegno sui miseri abitanti; e trovando nelle cave poderoso vino, ebbro d’esso e di furore durò le stragi, gli spogli e le lascivie tutta la notte. Ingrossarono le piogge, e la terra bruciava; al nuovo sole, dove erano case e templi, furono visti cumuli di cadaveri, di ceneri e di lordure”.

la Chiesa di San Lorenzo

L’atroce carneficina andò avanti per due giorni interi. “La gente atterrita cerca di nascondersi, di ripararsi, di fuggire da quell’impetuoso uragano di violenza, ma i ponti sono stati tagliati, tranne quello di Regno, e molte persone riescono a porsi in salvo sfidando a nuoto le acque del braccio destro del fiume, ingrossato dalle piogge recenti.

briganti all'abbeveratoio

Nell’abitato viene frugato ogni angolo e ovunque si fa scempio di vite umane. Non viene risparmiata nemmeno la chiesa di San Lorenzo, anzi è proprio qui che si consuma la tragedia più orrenda. La gente ha creduto di trovarvi un asilo sicuro, ma, sorpresa in preghiera, accende ancora di più l’ira degli aggressori e rimane vittima di una ferocia vile e bestiale. E’ un momento di autentico inferno: eccidio e sacrilegio in un unico gesto”. Passato l’uragano a quelli che, atterriti e sconvolti, decisero di ritornare in paese, si presentò una scena apocalittica. “Case sventrate, strade ingombrate dalle rovine e appena praticabili, mura cadenti pericolose e funeste; tra gli ammassi di calcinacci sporgono cadaveri e cadaveri orrendamente trucidati, altri penzolano dalle finestre diroccate; c’è tutt’intorno un silenzio raggelante; nell’aria si spande un odore nauseabondo di bruciato. Ma i guasti più spaventosi sono toccati alla chiesa di S. Lorenzo.

brigante dei primi dell'ottocento


Qui si scorgono centinaia di corpi decapitati o infilzati già in via di decomposizione; cadaverini di bimbi ricaduti sugli altari dopo essere stati violentemente scagliati contro le pareti; vetrate in frantumi e porte fracassate, danni ingenti alla costruzione (l’edificio sacro poté essere riaperto alla pratica del culto solo nel Natale di quell’anno, nda), agli arredi e alle suppellettili: ovunque i segni dell’odio, della razzia, della profanazione”. Né gli effetti della strage rimasero circoscritti a quel tragico giorno. La ventenne Mariangela Vicalvi, ad esempio, morì qualche mese dopo, il 18 luglio, in seguito alle ferite infertele dai francesi. Nel 1899, a cent’anni di distanza dall’eccidio, la municipalità isolana collocò nella chiesa di San Lorenzo, sulla parete di destra rispetto alla porta di ingresso, una epigrafe marmorea che ricordava l’infausto evento: “Il di 12 maggio 1799 qui caddero massacrati dalle milizie francesi 533 cittadini. Il popolo isolano nel giorno del centesimo anniversario pose”.

la lapide che ricorda l'eccidio

Da quel giorno, salvo sporadiche e quasi carbonare rievocazioni, “su un evento così drammatico è calata, fitta e impenetrabile, la nebbia dell’oblio. Sui libri di storia, inspiegabilmente, non c’è spazio per la tragedia di Isola Liri: eppure in quel drammatico 12 maggio, giorno di Pentecoste, trovarono la morte tanti poveri innocenti. I cronisti dell’epoca raccontano che il copioso sangue delle vittime colorò di rosso il fiume Liri. Ciò malgrado il ‘silenzio’ continua a regnare sovrano o quasi. Un’altra grande ingiustizia della nostra storia patria alla quale, prima o poi, qualcuno dovrà porre rimedio”.

I martiri di Casamari 

Lasciata Isola a piangere i suoi tanti morti, attraversata Sora, i giacobini, la cui ritirata ormai stava trasformandosi in precipitosa rotta, si allontanarono in direzione di Veroli. Ancora una volta, però, non mancarono di versare sangue di vittime innocenti. Alcuni soldati, contravvenendo agli ordini degli ufficiali che volevano lasciare il più in fretta possibile il Lazio meridionale dove gli insorgenti la facevano ormai da padrone, il 13 maggio penetrarono nell’abbazia di Casamari in cerca di cibo e di bottino. Il rimanente dei monaci fuggirono di soppiatto ed altri, calando dalle finestre si andarono a nascondere nel campo della clausura, chiamata volgarmente pastorecchia, si appiattarono nel mezzo del grano che era assai alto, e sul far della notte di quel tragico dì 13 maggio, presero tutti la fuga; la maggior parte se ne andò nel vicino collegio di Scifelli dei RR. PP. Liquorini distante da Casamari quasi due miglia, portando con loro quel poco d’avanzo di sacri arredi, cioè: 9 pianete, 9 dalmatiche, 32 stole, tre mitre e sei sottotovaglie”.

Ciò, però, non fu sufficiente ad evitare la tragedia. “I soldati irruppero alle otto della sera… quando ormai la piccola comunità si accingeva al canto della completa prima del ‘magnum silentium’ che domina nella notte in un’abbazia di regola benedettina. Ed invece fu una notte di orrore, di spavento e di sangue, che ebbe funeste conseguenze nella vita della comunità”. Anche questa volta il canovaccio fu il solito: distruzioni, furti di oggetti sacri, devastazioni di arredi. Gli empi giacobini, ubriachi per la gran quantità di vino bevuto dalle botti delle cantine del monastero, presero le pissidi custodite nel ciborio e gettarono a terra le sacre particole. I poveri monaci tentarono in tutti i modi di mettere riparo al grave gesto sacrilego, provvedendo a raccogliere le ostie dal pavimento.I corpi poi dei sei monaci uccisi rimasero così per tre giorni sopraterra, e furono custoditi per grazia di alcuni ufficiali e per cura di alcuni buoni secolari che vigilarono intorno al monastero”. Fatalità volle che ben quattro dei sei monaci trucidati a Casamari fossero di nazionalità francese: essi erano scappati dalla loro terra non appena si erano propagate le idee e i principi rivoluzionari che non potevano trovare albergo in uomini di profonda fede e di santa vita. Il loro destino, però, era segnato: trovarono la morte proprio per mano di quei connazionali dai quali erano fuggiti. Il martirio dei sei monaci è ricordato da un austero altare marmoreo posto nella navata di destra dell’abbazia.

l'eccidio di Casamari

Gesto che scatenò ancora di più la collera dei francesi che a suon di sciabolate uccisero sei religiosi: il padre-priore Simeone Cardon, padre Domenico Zawrel, fra Maturino Pitri, don Albertino Maisonade, fra Modesto Burgen e fra Zosimo Brambat. “

l'Abbazia di Casamari

Nel monastero erano rimasti soltanto pochi frati come conferma un passo di un anonimo scrittore di Valvisciolo: “
Fernando Riccardi

Il cielo