lunedì 24 settembre 2012

Pio IX e il 20 settembre 1870

"Nell’infausto anniversario del 20 settembre" abbiamo trovato sulla "rete" e publichiamo, perché ci è piaciuto molto, questo comunicato del centro Centro studi Giuseppe Federici http://www.centrostudifederici.org/   

Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza 
Comunicato n. 76/12 del 20 settembre 2012, Sant’Eustachio

Nell’infausto anniversario del 20 settembre, pubblichiamo alcune pagine tratte dall’opera in tre volumi di Mons. Giuseppe Sebastiano Pelczar, “Pio IX e il suo pontificato”.



Alcune ore dopo, alle 5,15 del 20 settembre, una prima palla dei Piemontesi colpiva le mura di Roma dando principio ad una vera grandine di proiettili lanciati da 60 cannoni, a cui rispondevano appena 18 pezzi dell’artiglieria pontificia. Il nerbo dell’attacco era rivolto contro Porta Pia, Porta Maggiore e contro le caserme del Macao, che porgevano più facile accesso; ma si sparava pure contro le porte Salaria, S. Pancrazio, S. Giovanni e S. Sebastiano.
Al rombo dei cannoni i cardinali Patrizi, Antonelli, Berardi, Bonaparte ed altri come pure tutti i membri del Corpo Diplomatico allora presenti in Roma s’affrettarono al Vaticano indossando le uniformi di gala.
Il Papa celebrò secondo il solito la S. Messa alle ore 7,30; il Corpo Diplomatico ebbe l’onore di assistervi, e verso le ore 9 fu introdotto in presenza di S. S. nella sala della biblioteca privata., le cui finestre mettono sulla piazza di S. Pietro. Il S. Pietro incominciò con ringraziare gl’illustri rappresentanti delle Potenze estere per essersi raccolti alla sua presenza in occasione così penosa, indi soggiunse continuando più a modo di conversazione, che di discorso:
Il Corpo Diplomatico si riunì anche un’altra volta intorno  a me: ciò fu al Quirinale nel 1848. (…) io ho scritto al re: non so se egli ha ricevutola mia lettera: gliel’ho mandata coll’indirizzo del suo Ministro degli affari esteri. Penso che gli sarà pervenuta, ma non ne so nulla…
Bixio, il famoso Bixio, è là con l’armata italiana. Ora è generale; ma fin da quando era repubblicano, aveva fatto il progetto di gettare nel Tevere il Papa e i cardinali, quando entrasse in Roma. In inverno sarebbe stato poco piacevole, in estate sarebbe forse un’altra cosa (Nota dell’Autore: Bixio morì di colera nel 1873 mentre viaggiava verso le Indie, ed il suo corpo sepolto nella sabbia fu messo a brandelli dai selvaggi d’Aczyno)... 
Egli è là alla porta S. Pancrazio: questo lato è più esposto. Vi sono delle case che soffriranno; fra le altre quella del Torlonia. I ricordi del Tasso corrono molto rischio coi liberatori d’Italia; ma questa gente se se cura poco… (…). Gli alunni del Collegio Americano mi hanno chiesto di prendere le armi, ma li ho ringraziati e detto che si unissero a quelli che assistono i feriti… Ecco che ora Roma è circondata, e si comincia a mancare di molte cose. I muratori non hanno più pozzolana per lavorare e neppure tufo per le fabbriche. I viveri ancora cominciano a divenire cari, e il popolo potrebbe agitarsi…
Ieri nel ritorno dalla Scala Santa ho visto le tante bandiere che hanno messo in Roma per proteggersi. Ve n’erano inglesi, americane, tedesche ed anche turche. Il principe Doria ne ha messa una inglese, non so perché. Quando ritornai da Gaeta, vidi ancora sul mio passaggio molte bandiere che erano state poste in mio onore. Oggi è differente; non le hanno messe per me.
Non è il fior fiore della società che accompagna quegl’Italiani che attaccano il Padre dei cattolici… 
In questo punto un ufficiale di stato maggiore da parte del generale Kanzler portò la nuova, che le brecce erano accessibili. I membri del Corpo Diplomatico si tennero in disparte, lasciando il S. Padre a deliberare col card. Antonelli. Indi a pochi istanti il Papa li fece chiamare, e con le lagrime agli occhi disse oro queste parole:
Signori io do l'ordine di capitolare: a che serve difendersi più oltre! Abbandonato da tutti, dovrei tosto o tardi soccombere, ed io non debbo far versare sangue inutilmente. Voi mi siete testimoni, Signori, che lo straniero non entra qui che con la forza; e che se egli sforza la mia porta, lo fa rompendola; ciò basta, il mondo lo saprà, e la storia lo dirà un giorno, a discolpa dei Romani miei figli… non vi parlo di me, o Signori, non è per me ch’io piango, ma sopra quei poveri figli che sono venuti a difendermi come loro padre. Voi vi occuperete ciascuno di quelli del vostro paese. Ve ne sono di tutte le nazioni, soprattutto Francesi. Vi prego di pensare ancora agli Inglesi ed ai Canadesi, i cui interessi non sono qui rappresentati da nessuno. Io ve le raccomando tutti, perché li preserviate dai maltrattamenti, che altri ebbero tanto a soffrire alcuni anni fa.
Sciolgo i miei soldati dal giuramento fattomi per lasciarli in loro libertà. Per le condizioni della capitolazioni bisogna vedere il generale Kanzler, bisogna intendersi con lui.
Il Corpo Diplomatico si partì dal Papa, e andò prima dal Pro-Ministro delle armi, poi dal generale Cadorna in Villa Albani.
Frattanto imperversava sulla città una vera pioggia di palle e granate dei cannoni piemontesi. Il generale Bixio, protetto da vigne e vigneti erasi avanzato fino a porta S. Pancrazio, ma qui vi un gruppo di papalini opposergli strenua difesa. Anche alle porte S. Sebastiano e a S. Giovanni, ove dirigeva la difesa l’intrepido de Charette, ferveva una mischia disperata; però le difese di S. Giovanni Laterano e di Santa Croce furono assai danneggiate dalle batterie dell’Angioletti. La lotta fu decisa dal generale Cadorna, che fissato il quartier principale a Villa Albani, diresse il fuoco di alcune decine di cannoni su Porta Pia.
Alle nove e un quarto fu aperta una breccia nel muro di villa Bonaparte, ma gli zuavi, facendo un vivo muro dei loro petti, resistevano a quel fuoco cantando l’inno di Pio XI. Colpiti dai proiettili, morivano eroicamente. Niel e Brondeis, vicini ad esalare l’anima, raccolsero l’ultimo fiato per gridare ancora una volta: Viva Pio IX! 
Lo zuavo Burel, non potendo parlare, poiché una pallottola lo aveva colpito in faccia, vergò colla mano che s’irrigidiva fra le agonie mortali queste parole: “Quanto posseggo lascio al Santo Padre”. Quando Pio IX ricevette quello scritto intriso di sangue, lo bagnò di calde lagrime e lo conservò con venerazione.
Allora il Cadorna spinse il 39° reggimento fanteria ed il 35° bersaglieri all’assalto. Questi corrono spavaldi al grido di Viva Savoia, mentre le file pontificie gridano in coro Viva Pio IX. Quand’ecco, accorre un ufficiale, coll’ordine del Kanzler, di cessare il fuoco; gli zuavi depongono dolenti le carabine, ed il tenente Maudit infigge sulla breccia la bandiera bianca; ciononostante il distaccamento piemontese, contro le norme guerresche, s’intromette in città. Già prima il Papa aveva ordinato al colonnello Azzanesi d’inalberare la bandiera bianca sulla cupola di S. Pietro, ma ciò non trattenne il gen. Bixio dal continuare il bombardamento. Solo 10 minuti dopo le ore dieci cessò il fuoco su tutta la linea.
Così dunque la rivoluzione riuscì vittoriosa. Non potendo entrare in Roma sotto la guida di Mazzini, vi entrò guidata da Vittorio Emanuele, innalzandovi la croce sabauda contro la croce di Cristo. Un rampollo di famiglia cattolica, da cui erano usciti dei santi, si fece strumento; ed essa, demoralizzando una parte del popolo italiano e disseminando per quelle terre l’agitazione e l’insurrezione, lo aiutò ad effettuare l’annessione. Grazie al concorso della rivoluzione, all’appoggio di Napoleone III, alla massoneria ed al liberalismo europeo (…)
Verso le ore 11, prima ancora che fosse conclusa la capitolazione, mentre però la bandiera stava alzata a Porta Pia, al Quirinale e sulla cupola di S. Pietro, un distaccamento italiano s’intrometteva in città; e con esso introducevansi alcune migliaia di emigranti e rivoluzionari di professione a fine di preparare uno splendido ricevimento all’esercito che sarebbe entrato nel pomeriggio. (…) frattanto la plebaglia abbandonavasi alle più infami violenze, specialmente contro i sodati ed altri di più notorietà fedeltà al Papa: di che avvisato il generale Cadorna, cinicamente rispose: Lasciate che il popolo si sfoghi!
L’esercito pontificio si ritirò al di là dal Tevere. I valorosi zuavi passarono l’intera notte sotto il porticato di S. Pietro; al mattino, schieratisi in ordine sotto le finestre del Vaticano, il colonnello Alet alzò la spada gridando: Viva Pio IX, Papa e Re. Il Pontefice si affacciò a benedire per l’ultima volta il suo esercito, che presentò l’arme. La scena era così commovente, che il Papa se ne ritrasse cogli occhi lagrimosi e quasi svenuto. Ma non tardò a rimettersi in calma, ed allora prese ad informarsi con vivo interesse dalla moglie del gen. Kanzler sullo stato dei feriti. Poveri figli, disse allora, che il Signore ne li compensi. Fu certo un gran delitto, ma esso ricadrà sui suoi autori.
In quel giorno l’esercito pontifico, a fronte alta ed al grido di Viva Pio IX!, sfilò dinanzi all’esercito piemontese, depose le armi e fu diretto a Civitavecchia, donde poi ciascuno fu rimandato al proprio paese (Nota dell’Autore: nell’esercito trovansi 4800 italiani e 4500 stranieri. NdR: molti prigionieri provenienti dagli Stati italiani pre-unitari furono internarti in campi di concentramento allestiti in Piemonte, dove diversi morirono). 
Tre giorni dopo il Papa disciolse la guardia palatina, così che in Vaticano rimasero un 300 o 400 uomini. Siccome la Città Leonina era indifesa, così un’orda rivoluzionaria vi si riversò il 21 settembre, svillaneggiando il S. Padre, saccheggiando la caserma Serristori (la caserma fu colpita da un attentato terroristico nel 1867 che causò la morte a 25 zuavi della banda musicale e ad alcuni passanti, tra cui una bimba di sei anni, NdR) ed avanzandosi poscia fino al colonnato di S. Pietro, ove erano stati acquartierati gli zuavi. I più forsennati vollero anzi profanare la basilica, ma ne trovarono chiuse le porte. V’era il pericolo che la bordaglia s’avventasse sul Vaticano tanto più che due assalitori e due soldati pontifici caddero colpiti dagli spari; pertanto il card. Antonelli si vide costretto ad invocare l’aiuto dell’esercito piemontese, che s’affrettò ad occupare quel quartiere fino alle porte del Vaticano, occupando pure ben tosto il castello S. Angelo. Pio IX rimase prigioniero nel proprio palazzo.
Tratto dal libro: Pio IX e il suo pontificato. Sullo sfondo delle vicende della Chiesa nel secolo XIX, di Giuseppe Sebastiano Pelczar, vol. II, pagg. 556-560, Torino 1910, Libreria G.B. Berruti.
 

VIVA IL PAPA RE PIO IX!
VIVA I CROCIATI DELL’ESERCITO PONTIFICIO!

venerdì 21 settembre 2012

I morti dimenticati della inutile battaglia di Castelfidardo




di Fernando Riccardi

il generale Christofe La Moriciere, 
Il 7 settembre del 1860 Garibaldi entra trionfalmente a Napoli accolto da una folla festante e plaudente che si accalca sulle strade del centro per toccare con mano il generale di rosso vestito. Tutto è stato abilmente architettato da Liborio Romano, un campione di doppiezza capace, nel breve spazio di poche ore, di cambiare campo di gioco e, soprattutto, padrone. Non ha esitato nemmeno a scendere a patti con la criminalità organizzata affinché tutto andasse per il giusto verso. Ecco perché Garibaldi, deposta la sciabola nel fodero, arriva nella capitale viaggiando in treno da Salerno, come un qualsiasi turista della domenica. Tutto si è svolto secondo copione. La parte meridionale della Penisola, scippata con un astuto colpo di mano al Borbone, ora è nella mani di quello strano condottiero con al seguito un corposo nugolo di collaboratori, consiglieri ed aiutanti dagli appetiti insaziabili. La presenza di Garibaldi a Napoli, però, inquieta non poco il conte di Cavour. Il piano così bene architettato rischia di saltare: il cocciuto nizzardo, infatti, vuole proseguire il cammino fino a Roma per buttare giù dal soglio “quel metro cubo di letame” di Pio IX. Bisogna fare qualcosa. Ed anche in fretta per evitare guai e sgradite sorprese. E allora che si fa? Si convince il re Savoia, Vittorio Emanuele II, a mettersi in testa all'esercito e a scendere a marce forzate verso Napoli. Scartata l'ipotesi di trasportare le truppe via mare, operazione fin troppo complicata, non resta che seguire la strada di terra partendo dall'Emilia Romagna e dalla Toscana le cui popolazioni, qualche mese prima, grazie alla ingegnosa farsa dei plebisciti, avevano manifestato la volontà di entrare a far parte del Regno di Sardegna. C'è, però, un piccolo, trascurabile dettaglio. Per arrivare a Napoli bisogna attraversare i possedimenti del papa. E qui la situazione si complica. Non si può certo dichiarare guerra al pontefice, la qualcosa avrebbe provocato la reazione delle potenze cattoliche del vecchio continente. Pio IX, d'altro canto, mai avrebbe permesso alle truppe sabaude di calpestare il suolo del suo stato. E allora il perfido Cavour ti inventa il “casus belli”, quello che avrebbe permesso di risolvere il problema. Da qualche tempo bande di irregolari tentavano di penetrare nei possedimenti papalini con l'intento di giungere fino a Roma. Il che aveva indotto il pur riluttante Pio IX ad organizzare una sorta di esercito composto da italiani, per i due terzi, e da volontari provenienti da Francia, Austria, Irlanda, Belgio ed altri paesi cattolici europei. In breve tempo si riesce a mettere insieme 15 mila uomini affidati al comando di un generale francese, Christofe La Moriciere, che molto si era distinto nella guerra di Algeria. Un esercito che serve solo per badare all'ordine interno. Eppure Cavour, temendo per l'incolumità del suo stato, intima al papa di sciogliere il suo esercito “mercenario”. In caso contrario avrebbe dato l'ordine alle truppe piemontesi di invadere lo stato della Chiesa. Cosa che, puntualmente, avviene. Un corpo di armata di 70 mila uomini, al comando del generale Fanti, oltrepassa la frontiera e si dirige a marce forzate in direzione di Ancona. Prima di partire ai soldati sabaudi vengono distribuite le copie di un proclama con il quale re incita i suoi uomini a “liberare le infelici province d'Italia dalla presenza di straniere compagnie di ventura”. Ancora più dure le parole del generale Cialdini, comandante del IV corpo d'armata: “Soldati, vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d'oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattete, disperdete, inesorabilmente quei compri sicari e per mano vostra sentano l'ira di un popolo che vuole la sua nazionalità e indipendenza. Soldati, l'intera Penisola domanda vendetta e, benche tarda, l'avrà”. Sul campo avverso non ci si fa troppe illusioni vista la spoporzione delle forze in campo. La Moriciere vuole rinchiudersi con quanti più uomini nella fortezza di Ancona per  resistere il più possibile all'assedio piemontese confidando nell'intervento delle potenze europee. Inizia così una corsa frenetica a chi arriva per primo ad Ancona. Una corsa dalla quale, fatalmente, scaturisce uno scontro. Il 18 settembre, a Castelfidardo, piccolo paese marchigiano adagiato su di una collina, le truppe papaline e quelle piemontesi si danno battaglia. La zuffa è aspra e serrata. I volontari pontifici si battono con grande ardimento ma alla fine sono costretti a cedere. George de Pimodan, uno dei comandanti papalini, ferito più volte nel corso dell'assalto, riesce appena a dare l'estremo saluto a La Moriciere: “Generale, i nostri combattono da eroi. L'onore della Chiesa è salvo”. La battaglia ormai è perduta. La Moriciere si avvia con poche centinaia di uomini verso Ancona eludendo l'accerchiamento dei piemontesi. Un'impresa che, però, serve a poco. Il 29 settembre, investita da terra e da mare, la fortezza capitola. Ormai la strada verso Napoli è sgombra. Ma torniamo a Castelfidardo. Quel tragico 18 settembre del 1860 cadono in parecchi tra papalini e sabaudi. Tra quelli che vengono definiti “i mercenari di Pio IX”, tra quelli che il truce Cialdini chiama “briachi stranieri” e “compri sicari” vi è anche il bretone Paul de Parcevaux che, ferito durante lo scontro, viene ricoverato nella basilica di Loreto, trasformata in ospedale. Il giovane Paul così scrive alla madre: “La mia ferita è grave ma siccome oggi mi sento meglio spero di ristabilirmi. In quanto al resto, mentre stavamo andando in battaglia, pregai Dio perché io potessi fare il mio dovere e morire bene. E ora, data la mia ferita, non temo la morte più di quanto il 18 temessi le fucilate. In Bretagna avrei minore probabilità di morire in condizioni più favorevoli per guadagnare il Cielo. Se muoio, spero di morire contento. Se ci sono grida di dolore nella chiesa che è il nostro ospedale, ci sono anche scoppi di riso. Mi si portano via penna e inchiostro. Addio, spero solo di rivedervi un giorno. Se sarà volontà di Dio di chiamarmi a Lui, il mio ultimo pensiero sarà a voi consacrato”. Paul spirò il 14 ottobre lasciando “lo spirito a Dio, il corpo a Nostra Signora di Loreto, il cuore a sua madre e alla sua nativa Bretagna”. A lui, come a tutti i suoi valorosi compagni caduti in quella inutile battaglia, bene si addice il pensiero di mons. Dupanloup, vescovo di Orleans: “O colline di Castelfidardo che beveste il loro sangue e raccoglieste le loro ceneri. Ieri il vostro nome era sconosciuto, oggi è immortale”. Nel 1900, in occasione del quarantennale della battaglia, sulla facciata del palazzo comunale di Castelfidardo, viene affissa una lapide marmorea a ricordo dell'evento. E fin qui niente di sconveniente se non fosse che, ancora una volta, torna l'ignobile panzana dei “mercenari soldati pontifici”, una menzogna che servì solo a giustificare una proditoria azione bellica. Nel 1910, per il cinquantenario della battaglia, viene eretto un monumento, opera dello scultore Vito Pardo, per ricordare i caduti di entrambi gli schieramenti. Opera bella ed imponente che è meta continua di visitatori, turisti e curiosi. Ancora una volta, però, lo scopo originario è stato completamente stravolto. Lassù, dove sono stato di recente, è tutto un tripudio di bandiere tricolori, di retorica patriottarda, di enfasi risorgimentale. Di quei poveri volontari papalini, italiani e stranieri giunti da ogni parte d'Europa per offrire il loro braccio alla causa della Chiesa e del papa, non c'è traccia alcuna. Oggi nessuno ricorda De Pimodan, de Parcevaux e tanti altri che caddero valorosamente sulle amene balze di Castelfidardo per sostenere una causa tanto nobile quanto vana. Così come nessuno ricorda quei soldati del papa che morirono dieci anni più tardi, il 20 settembre del 1870, a Roma nei pressi di Porta Pia. Nel fulgido libro dell'italico Risorgimento non c'è posto per i vinti. Un'altra monumentale ingiustizia, l'ennesima, consumata dalla vulgata storica dominante che qualcuno, prima o poi, dovrà pur peritarsi di cancellare. E quando ciò sarà fatto, se sarà fatto, sarà sempre troppo tardi.

Fonte: “L'Inchiesta”, quotidiano dell'alta Terra di Lavoro e della Ciociaria   

S.S. Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti


mercoledì 19 settembre 2012

la battaglia di Caiazzo, 19 - 21 settembre 1860



CAIAZZO - Tra il 19 e il 21 settembre 1860, si scontrarono a Caiazzo le armate garibaldine e parte dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, ritiratosi, dopo l’abbandono di Napoli (6 settembre), lungo la linea del Volturno. A fronteggiarsi furono anche due uomini, Giovan Battista Cattabeni (al comando delle camice rosse) e il Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa (in testa alle forze delle Due Sicilie). Caiazzo rappresentava, per entrambi gli eserciti contrapposti, un elemento strategico fondamentale che avrebbe potuto decidere chi avesse vinto o perso nel corso della ormai imminente battaglia finale che si sarebbe combattuta tra i due schieramenti. Il 19 settembre, giorno di San Gennaro, patrono di Napoli, fu per miracolo sventato il tentativo garibaldino di occupare la città grazie alla complicità di alcuni esponenti della borghesia caiatina. Il La Rosa con soli 600 uomini respinse le camice rosse del Cattabeni grazie soprattutto al sostegno attivo della popolazione che prese d’assalto le abitazioni dei “notabili” liberali e contribuì ad innalzare le batticate che, da Porta Pace a Port'Anzia, contribuirono a difendere la maggior parte del centro abitato mentre poco più di 600 Regi, impedivano ai garibaldini di occupare la strada per Capua, dove erano arroccati il Re, lo Stato Maggiore e la maggior parte dell’Esercito. Allarmato dalla forte resistenza della popolazione, Cattabeni inviò al Generale Turr la richiesta di rinforzi e lo stesso Garibaldi, informato dei fatti bellici, non esitò ad inviare il reggimento Vacchieri della divisione Medici, 1119 uomini che il 20 settembre prese posizione nella parte del paese occupata da Cattabeni. La Rosa, nel frattempo, aveva fatto anch’egli domanda di rinforzi e il Generale Colonna mandò contro Caiazzo il 4° Cacciatori al comando del Tenente Colonnello Della Rocca, uno squadrone di Dragoni e diversi pezzi di Artiglieria. A combattere in prima fila fu anche il fratello del Re, S.A.R. Alfonso di Borbone, Conte di Caserta che, malgrado la giovanissima età, si distinse nelle ore successive contribuendo alla vittoria finale. Il Maresciallo Ritucci, responsabile della difesa del Volturno, per evitare brutte sorprese inviò ulteriori forze, in particolare i Carabinieri Esteri al comando del Tenente Colonnello Giovan Luca Von Mechel, e l’8 Cacciatori a Cavallo che giunsero a marce forzate a Caiazzo dove già era cominciato lo scontro finale. Le truppe del Tenente Colonnello La Rosa avevano già respinto i nemici tra Triflisco e Formicola e puntavano su Caiazzo dove, giungendo al centro abitato da tre direzione distinte, accerchiarono i garibaldini decretandone la sconfitta. Costò 1.110 tra morti e feriti e altri 700 prigionieri (in pratica la perdita di tutta la Vacchieri) il tentato blitz dei garibaldini. A vincere furono, senza dubbio alcuno, i soldati dell’Esercito delle Due Sicilie che, a causa di una guida inefficiente, non seppero sfruttare la situazione di caos generata tra le camice rosse. Ritucci ordinò di non proseguire l’avanzata su Caserta, consigliata dai suoi subordinati e si mantenne in attesa dello scontro del 1 e 2 ottobre sul Volturno. Cattabeni morì durante la battaglia e stessa sorte toccò a Ferdinando La Rosa, colpito a morte mentre guidava una carica di sganciamento presso l’ex convento dei Cappuccini. Il corpo ferito del Tenente Colonnello fu trasportato a Capua dove morì presso l’Ospedale Militare il 22 settembre. Ricevé solenni funerali, adeguati al grado e alla statura dell’uomo che aveva infranto il mito dell’invitto Garibaldi. Cosa resta dopo 152 anni da quelle giornate? Il ricordo di uomini che sacrificarono la propria vita per la propria Patria e il senso di ingiustizia nel non vedere riconosciuto quello sforzo. Il nome di Cattabeni figura, onorato e celebrato, tra le strade del piccolo borgo di Caiazzo mentre La Rosa non ha trovato pace neanche da morto. Sepolto nella chiesa di Santa Caterina a Capua, negli ultimi anni la struttura è stata sottoposta ad un profondo restauro che ha portato alla perdita della tomba di questo eroe delle Due Sicilie. Colpa della sciagurata incuria dei restauratori odierni e anche della mancanza di memoria che da 152 anni ci affligge.
ROBERTO DELLA ROCCA

lunedì 17 settembre 2012

S.A.R. la principessa Beatrice sarà a Capua il 6 ottobre p.v.



 CASERTA – E’ la terza volta nel giro di pochi mesi che S.A.R. la Principessa Beatrice di Borbone delle due Sicilie è tornata, tra Napoli e Caserta. Lo ha fatto, in questi giorni, per guidare un gruppo di italo americani della Niaf (la maggiore associazione che raccoglie i cittadini americani di origine italiana) alla scoperta delle bellezze del territorio e delle proprie radici storiche e culturali. Una vera e propria impresa a cui la Principessa Beatrice dedica gran parte del proprio tempo. La vera novità è stata l’aura di ufficialità che ha avvolto l’occasione. Ad accogliere il gruppo al Belvedere di San Leucio è stato il Sindaco di Caserta, dr. Pio Del Gaudio, che, resosi conto dell’importante lavoro svolto da quest’erede dei sovrani a cui Caserta e San Leucio devono la loro nascita, ha pubblicamente, davanti agli ospiti presenti, annunciato che è sua intenzione proporre agli organi amministrativi della città la nomina della Principessa Beatrice ad ambasciatrice della città di Caserta nel mondo. Un incarico onorifico che contribuirebbe, e non poco, a rendere maggiormente efficace il lavoro “diplomatico” che Sua Altezza Reale sta tentando di compiere ad esclusivo beneficio del territorio contattando imprenditori interessati ad effettuare investimenti seri e duraturi sul territorio. Molto partecipata la celebrazione che ha visto ospite d’onore la Principessa Beatrice e che si è svolta domenica presso il complesso Monumentale di Santa Chiara. Alla presenza della Guardia d’Onore del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio si è svolta la Santa Messa seguita dal doveroso omaggio alle tombe reali di Casa Borbone due Sicilie. Presente il Delegato per Napoli e la Campania dell’Ordine Costantiniano il marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli mentre sono stati numerosi i simpatizzanti e amici arrivati da tutto il Sud per omaggiare la Principessa Beatrice.
A conclusione della giornata e della visita degli ospiti d'oltreoceano, un pranzo in una sala del complesso di Santa Chiara alla fine del quale c'è stato lo scambio di doni tra S.A.R. e Mr. John M. Viola, Chief Operating Officer del Niaf.
Perché gli ospiti del Niaf tornando negli U.S.A. potessero portare con sé un ricordo ancora più tangibile della loro Patria lontana, S.A.R. ha voluto inoltre donare, ad ognuno di loro, una bottiglia di un vino che ha un particolare legame con "Terra di Lavoro": il "pallagrello bianco".
Paola Riccio, giovanissima e dinamica imprenditrice del Caiatino, ha esaudito il desiderio della principessa regalando il suo vino più prestigioso, un pallagrello bianco "in purezza", dal nome significativo: Maria Carolina.
Tanto più indicato e gradito a S.A.R. poiché, non solo richiama il nome della prima Regina del Regno delle due Sicilie, moglie di Ferdinando I di Borbone, ma anche il nome della stessa principessa il cui nome completo è Beatrice Maria Carolina Luisa Francesca. 
Graditissima poi è giunta l'attesissima conferma della partecipazione di S.A.R. alla manifestazione che si svolgerà sabato 6 ottobre 2012 a Capua in ricordo dei soldati dell’Esercito delle due Sicilie caduti nella Battaglia del Volturno.



S.A.R. la principessa Beatrice di Borbone due Sicilie e il dr.Pio Del Gaudio, Sindaco di Caserta



la dr.ssa Valeria Della Rocca, il Sindaco di Caserta, dr. Pio Del Gaudio e la principessa Beatrice

ancora la dr.ssa Valeria Della Rocca, il Sindaco di Caserta, dr. Pio Del Gaudio e la principessa Beatrice



la principessa tra i ragazzi dell'Istituto Alberghiero di Caserta

la principessa Beatrice a Santa Chiara

ancora S.A.R. la principessa Beatrice
La Guardia d'Onore mentre percorre la navata centrale della Basilica

la guardia d'Onore del SMO Costantiniano di San Giorgio


S.A.R. in raccoglimento davanti alla capella di San Tommaso dove sono sepolti tutti i sovrani di Casa Borbone  due Sicilie e dove riposano i Suoi Augusti genitori. 

la principessa Beatrice e la giovane imprenditrice Paola Riccio
il famoso Maria Carolina, pallagrello bianco in purezza. La sua etichetta, molto elegante,
 riporta il profilo della grande Regina delle due Sicilie


mercoledì 12 settembre 2012

“Quando l’Italia era fatta”

Abbiamo ricevuto dal compatriota Elvio Monti, concittadino della grande Michelina Di Cesare, eroina della lotta contro l'invasore, il volume “Quando l’Italia era fatta”. Il nostro presidente, comm. dr. Giovanni Salemi, nel ringraziare l'autore per il gentile pensiero, ne dà una brevissima recensione sufficiente a suscitare la curiosità di molti compatrioti e, quindi, volentieri, pubblichiamo la lettera del nostro presidente:


Gentile Signor Imonti, ho ricevuto ieri il Suo lavoro “Quando l’Italia era fatta”, che con tanta  gentile cortesia  Lei ha inviato per l’Istituto per la Ricerca Storica delle Due Sicilie, che io ho il privilegio di presiedere.
Ho dato un rapido sguardo  al libro tutto ed ho letto con attenzione la introduzione . Lei rivolgendosi al “cortese lettore”, spiega molto chiaramente ed ottimamente le ragioni per cui ha preparato questo volume e centra il tutto su quel personaggio, mai sufficientemente ricordato, che fu Michelina Di Cesare, coraggiosa guerrigliera, nata in Caspoli di Mignano  e poi finita, a seguito di un agguato, sotto i colpi dei fucili di soldati dell’esercito regio sabaudo .
Il Suo lavoro, sig. Imonti, è in effetti un excursus veloce e molto ben compendiato di tutti gli avvenimenti di quegli anni terribili che, per quel che ci riguarda, videro la fine di un Regno, le Due Sicilie, antico di sette secoli e nell’ultimo periodo, quello borbonico, veramente indipendente ed autonomo. Si evince chiaramente come la  creazione di quel nuovo stato chiamato Regno d’Italia sia stata un’opera concepita con l’inganno, nata con la violenza associata a corruzione e fellonia, allevata con la menzogna .
Le invio quindi un grande grazie e Le allego la brochure  della cerimonia che svolgeremo in Capua il prossimo 6 ottobre,con un filo di speranza di  vederLa presente. 
Un saluto cordialissimo e una stretta di mano.

Giovanni Salemi


il volume è fuori commercio e le persone interessate possono contattare l'autore per avere maggiori informazioni:
sig. Elvio IMONTI, 
Via Leonardo Da Vinci 11/D/PAL/C - 21047 Saronno (VA)
 

domenica 9 settembre 2012

XV Commemorazione dei Soldati del Regno delle due Sicilie Caduti nella battaglia del Volturno



Pubblichiamo il programma della manifestazione di Capua, giunta, quest'anno, alla XV edizione e che gode del patrocinio del S.M.O.Costantiniano di San Giorgio.

PROGRAMMA

Ore 16:00 - Deposizione di una corona d'alloro alla lapide commemorativa sita al corso Gran Priorato di Malta, 3 e allocuzione del Dott. Maurizio Di Giovine, esperto di Storia delle due Sicilie

Ore 17:00 - Santa Messa in suffragio dei Caduti Duosiiciliani e delle LL. MM. Francesco II e Maria Sofia di Borbone, officiata da Don Francesco Pappadia nella Chiesa dei SS. Rufo e Carponio, corso Gran Priorato di Malta.

Ore 18:00 - Convegno di studio presso l'Aula Consiliare del Comune di Capua, piazza dei Giudici, 1
interventi:
- dott. Giovanni Salemi, pres. Istituto ricerca storica delle due Sicilie e Ass. Cult. Capt. G. De Mollot, presidenza del convegno.
- dott. Carmine Antropoli, Sindaco di Capua, saluto ai partecipanti.
- dott. Giuseppe Catenacci e dott. Maurizio Di Giovine, presentazione pamphlet "La Reale Scuola di Applicazione di Capua per gli Alfieri di Artiglieria e del Genio, formati dal Real Collegio Militare della Nunziatella".
- prof. Aldo Morganti, pres. Ass. Identità Europea: "Uno sguardo europeo sullo pseudo risorgimento".
- dott. Fernando Riccardi, giornalista: "Da Calatafimi a Gaeta".

Ore 21:00 - Appuntamento conviviale presso il ristorante "Ex Libris" in Palazzo Lanza, corso Gran Priorato di Malta, 25.


**Saranno presenti Benedetto Vecchio e i "Musicisti del Basso Lazio" (Alta Terra di Lavoro) con canti e musiche popolari**

Link al sito ufficiale de "i Musicisti del Basso Lazio"



per partecipare alla cena è assolutamente necessaria la prenotazione, da effettuarsi entro il 3 ottobre 2012, contattando direttamente il ristorante ai numeri 0823.622924 o 393.1571655.

Il cielo