sabato 31 dicembre 2011

Buon 2012!


Il Presidente, il Comitato Direttivo, i soci e i simpatizzanti dell'Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie augurano a tutti gli amici e i lettori del blog i più sentiti auguri di un felice anno nuovo. Con l'auspicio che tutti i nostri desideri possano avverarsi e che il prossimo anno sia fonte di rinnovamento, crescita e prosperità per tutto il nostro amato Sud.


venerdì 30 dicembre 2011

Goia del Colle, il 6 gennaio tutti presenti per ricordare il Sergente Romano!


L'Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie è lieto di dare notizia dell'annuale commemorazione del Sergente Romano organizzata dagli amici di Rete Sud, che si svolgerà il 6 gennaio 2012 a Gioia del Colle presso la colonna commemorativa che sorge sul luogo dove il gruppo di patrioti napoletani guidati dall'ufficiale dell'esercito napoletano Pasquale Domenico Romano, fu trucidato, in disprezzo delle leggi morali e civili, dai piemontesi. L'invito è quello di essere presenti, numerosi, alle celebrazioni.W il Sergente Romano! W 'o rre! 

GIOIA DEL COLLE - Cari amici e compatrioti duosiciliani Il prossimo 6 gennaio 2012, alle ore 10,30, per il 149° anniversario del massacro compiuto ai danni del mitico Sergente Romano e dei suoi valorosi uomini, ci ritroveremo sui luoghi che serbano muti il dolore di una così efferata carneficina. Il monumento che fu innalzato qualche anno fa, è testimonianza concreta della nostra volontà di strappare il velo dell'oblio omertoso che per decine di anni ha coperto quel barbaro sterminio. Siamo pronti anche quest'anno ad impiastricciare le nostre membra con la terra consacrata di quelle zolle che per noi restano sacrario ai "militi ignorati" i quali, proprio per questo motivo, a nostro giudizio, sono stati uccisi più volte: la prima volta fisicamente, la seconda perchè non hanno avuto la pietà di una sepoltura, la terza perchè il loro nome è stato cancellato dalla lista del genere umano, la quarta perchè la loro figura e le loro gesta sono state dichiarate attività delinquenziali, la quinta per lo sberleffo dell'impunità degli esecutori e per le onorificenze loro attribuite per quel crudele scempio. Anche se il colpo di grazia lo diamo loro noi tutti quando non siamo in grado di ricacciare in gola, ai cosiddetti storici "autorizzati e diplomati", le immorali accuse risorgimentaliste basate su atti falsi, manipolati o, quanto meno, interpretati in mala fede. La speranza è quella che i luoghi del barbaro massacro, per lo spirito dei nostri patrioti che certamente ancora aleggia sopra di essi, possa diventare forza catartica che spinga, tutti coloro che vorranno ritrovarsi insieme a ricordare i martiri di Vallata, ad abbandonare il tempo del "dire" per incamminarsi sulla strada del "fare". Un compatriottico saluto,

La redazione della Rete Sud

PROGRAMMA DELLE CELEBRAZIONI:

ORE 10,00 - accoglienza dei partecipanti al punto di ritrovo (segnalato dalle bandiere del Regno delle Due Sicilie lungo la SS. Gioia del Colle - Santeramo e indicato sulla mappa allegata)
ORE 10,30 - trasferimento al Monumento dedicato al Sergente Romano
ORE 11,00 - commemorazione dei patrioti duosiciliani massacrati e deposizione della corona d'alloro all'obelisco commemorativo
ORE 13,00 - banchetto del brigante 

Per ulteriori informazioni o per prenotare la partecipazione al successivo Banchetto del Brigante telef. 3472530544
Si consigliano calzature e vestiario invernale ed adatto alla campagna. 
Inoltre, chi può, è invitato ad indossare l'antico tabarro.
In allegato la mappa del luogo di ritrovo

sabato 24 dicembre 2011

Auguri di Buon Natale!


"Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato; rallegriamoci! 
Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, 
una vita che distrugge la paura della morte 
e dona la gioia delle promesse eterne [...]
Esulti il Santo, perchè si avvicina al premio;
Gioisca il peccatore, perchè gli è offerto il perdono;
Riprenda coraggio il pagano, perchè è chiamato alla vita".

Dai "Discorsi per il Natale" di San Leone Magno Papa e Padre della Chiesa.


La Presidenza e il Comitato Direttivo dell'Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie augurano a tutti i soci, simpatizzanti e lettori i migliori auguri di un sereno Natale.

martedì 20 dicembre 2011

Il paesaggio dei Monti Tifatini e le Delizie Reali, uno studio paesaggistico, storico e naturalistico - Parte II


Siamo lieti di pubblicare in due parti il lavoro del Dott. Mauro Mirto avente per oggetto uno studio paesaggistico, storico e naturalistico dei colli Tifatini e delle principali Delizie Reali in quella parte di Terra di Lavoro. Il lavoro è tratto da una pubblicazione della Civitas casertana le cui copie sono disponibili, per la consultazione, presso la biblioteca del Seminario di Caserta e presso l'Archivio della Reggia di Caserta. Per chi fosse interessato all'intero lavoro può contattarci all'indirizzo istitutoduesicilie@gmail.com, buona lettura.


II PARTE

IL BOSCO DI SAN SILVESTRO: ASPETTI FLORISTICO - VEGETAZIONALI NELLO STATO ATTUALE DELLE FITOCENOSI

  Il lavoro svolto ha come oggetto lo studio floristico - vegetazionale del Bosco di San Silvestro, area estesa per 76 ettari, divisa in zone morfologicamente diverse tra loro. Essa fa parte dell’insieme delle colline costituenti i “Monti Tifatini” alle falde della Pianura Campana denominata “Terra di Lavoro”.
Il Bosco di San Silvestro, collegato alla Reggia di Caserta, era adibito un tempo dai Borboni a riserva di caccia ed inoltre fungeva da azienda agricola, essendo presenti sul territorio anche vigneti, oliveti, frutteti ed orti vari.
Dal punto di vista botanico la parte più importante è rappresentata dalla lecceta; tale formazione si estende per circa 30 ettari; mentre in un'altra area di 16 ettari, presente alle quote più elevate delle alture di Montemajulo e Montebriano, che configurano il Monte San Silvestro, si trova una fitocenosi mista di leccio, cerro e roverella. E’ presente inoltre anche un frammento di “bosco misto” di circa quattro ettari con specie di origine antropica, quali l’ippocastano, mescolate ad entità autoctone, quali il castagno.
Sul versante a sud, e più precisamente sulla sommità di Montemajulo, si estende una pineta a Pinus pinea di circa 12 ettari, a ridosso della quale si trova un’area a macchia mediterranea di circa 10 ettari. Sono infine presenti sette ettari di coltivi abbandonati ed un giardino pensile con essenze esotiche, posto nel cortile del Casino Reale di Caccia.
La collina di San Silvestro ha un clima mite, caratterizzato da differenze di temperatura e piovosità modeste; nello specifico ha un clima di tipo mediterraneo. La piovosità media è di 994,8 mm annui con massime nel mese di novembre (1480 mm) e minime nel mese di luglio (31,4 mm).
Le temperature delle medie mensili raggiungono il massimo in agosto (25,1°C) e il minimo nel mese di gennaio (8,6°C). I suddetti valori, con i relativi diagrammi di Walter e Lieth, sono stati ottenuti elaborando i dati ricavati dalle osservazioni meteorologiche della Stazione del Genio Civile di Caserta (63 s.l.m.) la più vicina al sito nel periodo che va dal 1960 al 1988.
La geologia dell’area studiata evidenzia che essa fa parte delle unità esterne della Catena Appenninica e che nel Medio Triassico era una piattaforma carbonatica aperta, più precisamente faceva parte di quella campano - lucana. Nelle ere successive, in seguito a movimenti di impilamento e trasgressione, essa si è evoluta verso la configurazione attuale. La roccia quindi è di tipo calcareo con fossili tipici di associazioni a biostroma di mari poco profondi (Diceratidae, Nerineidae, Ostreidae).
La morfologia evidenzia inoltre che la roccia si è evoluta in suolo per la maggior parte del territorio della collina, favorendo così la copertura       vegetale. Non mancano in ogni caso affioramenti di rocce calcaree con evidenti fenomeni di microcarsismo dovuto all’azione degli agenti esogeni; nell’area sono infine presenti anche delle doline da sprofondamento del suolo.
La ricerca sulla flora del Bosco di San Silvestro è stata effettuata a mezzo raccolta e preparazione di campioni di erbario nel corso dei vari mesi dell’anno. Gli esemplari ritrovati sono stati determinati con l’ausilio delle opere del Pignatti[1], del Toutin et Al.[2], e del Fiori[3].
L’elenco floristico dell’area indagata consta di 166 entità realmente rilevate sul territorio; le entità presenti sono suddivise in 58 Famiglie e 133 Generi.
Le famiglie maggiormente rappresentate sono:
-         Leguminosae                                                                         17 entità
-         Compositae                                                                          11 entità
-         Graminaceae                                                                        10 entità
-         Scrophulariaceae                                                                    9   entità
-         Cruciferae e Rosaceae                                                             7   entità
-         Labiate e Liliaceae                                                                6   entità
-         Urticaceae, Caryophyllaceae, Geraniaceae, Fagaceae e Gentianaceae  4   entità
-         Euphorbiaceae, Asplenaceae, Boraginaceae, e Corylaceae                          3   entità
-         Aceraceae, Anacardiaceae, Araceae, Ericaceae, Papaveraceae
-         e Rubiaceae,                                                                         2   entità
-       Omissis                                                                                1   entità
Tra le famiglie spiccano le Leguminosecon 17 specie; questo dato indica un livello di naturalità specialmente per alcune aree del bosco ancora esistente.
La forte presenza di entità appartenenti alle famiglie delle Composite            (11 entità) e delle Graminacee (10 entità), indica il notevole grado di denaturalizzazione dell’area nella sua globalità.
L’analisi dello spettro biologico e corologico rispecchia una notevole antropizzazione del bosco, infatti i dati delle Fanerofite, Geofite e Terofite risultano più elevati di aree consimili.
Il dato leggermente elevato delle Terofite (34,94 %) è probabilmente da imputare alla passata antropizzazione del bosco e alla presenza di coltivi abbandonati, vale a dire aree incolte e chiarie del bosco, ancora in fase invasiva da parte di piante annuali eliofile. A tale riguardo bisogna notare che nel bosco era presente un certo numero di daini (Dama dama) che mediante il pascolamento agiva sul sottobosco. Inoltre in passato, come precedentemente menzionato, alcune zone del sito sono state utilizzate per coltivazioni agrarie; ciò è testimoniato non solo da documenti storici risalenti al tempo del Regno Borbonico ma anche dalla presenza di esemplari di Olea europea ed essenze fruttifere dislocati nel bosco.
Il dato della percentuale di Fanerofite, elevato (29,52%) rispetto alle medie delle zone mediterranee consimili, è sicuramente da imputare alle numerose presenze di entità introdotte in passato nel parco, sia per mezzo agricolo, sia per rimboschimento, sia per scopo ornamentale (si citano ad esempio: Pinus pinea, Pinus pinaster, Broussonetia papirifera, Aesculus hippocastanetum).
Il dato delle Geofite (12,65%) indica anch’esso, come prima specificato, il disturbo antropico che interessa l’area esaminata.
Relativamente basso il contingente delle Emicriptofite (18.67%), specie che caratterizzano ambienti più continentali e con maggiore mesofilia. Tra le Emicriptofite stesse, la sottoforma più rappresentata è quella scaposa (41,93%); le entità che rientrano in tale raggruppamento sono quelle con maggiore mediterraneità.
Infine per le caratteristiche del popolamento floristico la percentuale delle Camefite risulta ovviamente bassa (4,22%) essendo piante tipiche di ambienti montani (fig. 7).
Per la corologia, le endemiche sono appena l’1,8% delle 166 specie censite, ed, infatti, il contingente endemico è rappresentato soltanto da tre entità che sono:
-         Linaria purpurea L. Miller, endemica italiana con caratteristiche semiruderali in via di espansione verso l’Europa centrale. Nell’area studiata è localizzata nelle zone più aride, quali i bordi dei prati e dei sentieri.
-         Astragalus GlycyphillosL. var. setiger, entità abbastanza diffusa nei querceti dell’Italia centro - meridionale.
-         Digitalis micranthaRoth, entità dei boschi mesofili diffusa in Europa; la presenza di questa specie denota un’antica e potenziale vocazione climacica del Bosco di San Silvestro.
Nel popolamento floristico la percentuale di endemismo tende generalmente a caratterizzare la naturalità del territorio che esso occupa e quindi la presenza di ambienti conservativi (rupi di vetta, fosse, ambienti umidi inalterati, etc.).
 La bassa quota del Corotipo riscontrata nell’area esaminata è pertanto giustificata non solo per la mancanza di ambienti conservativi ma anche dalla antropizzazione del sito.
I carotipi, che generalmente caratterizzano i popolamenti floristici a queste latitudini dell’Italia meridionale, sono quelli che trovano il loro optimum di diffusione nell’area mediterranea (Steno et Euri Medit.). Nell’area esaminata la componente mediterranea rappresenta, infatti, il 40,56% dell’intera flora (Steno - Medit. 21,69%, Euri - Medit. 17,47%, Medit. - Montane  2,4%).
Ben rappresentato anche il contingente delle Eurasiatiche con 21,69% specie che sempre alle nostre latitudini si diffondono alle quote più elevate e comunque laddove il clima tende a divenire più continentale (precipitazioni più elevate, temperatura media più bassa). Nell’area oggetto del lavoro, le caratteristiche di continentalità sono probabilmente offerte dalle zone a bosco, in cui il microclima tende ad assumere caratteri di maggiore mesofilia rispetto alle aree più aperte.
Contenuta infine, per un’area soggetta a pressione antropica, la percentuale di specie ad ampia distribuzione (Circumboreali 4,8% e Cosmopolite 25,9%), più diffuse nelle aree a basso livello di naturalità; ciò indica l’esistenza di una buona potenzialità del popolamento floristico esaminato, potenzialità che potrebbe essere sfruttata per la riqualificazione dell’ambiente (fig. 8).
Il rilievo della vegetazione compiuto su popolamenti elementari omogenei, per le principali tipologie riscontrabili sull’area in oggetto del lavoro, è stato effettuato utilizzando il metodo fitosociologico di       Zurigo - Montpellier. Oltre ai dati stazionali sono stati valutati quelli floristici, quelli di copertura totale e di sociabilità delle singole specie.
Per la stima della copertura si è utilizzata la scala di Braun - Blanquet modificata secondo il Pignatti[4]. L’analisi e l’elaborazione dei singoli rilievi hanno permesso la tipizzazione di alcune classi ed alleanze fitosociologiche consentendo di stabilire il significato ecologico delle fitocenosi presenti nonché le correlazioni di tipo ambientale.
L’analisi della vegetazione ha portato alla collocazione del bosco nella fascia fitoclimatica della classe Quercetalia - ilicis con presenza di fitocenosi estremamente variabili in funzione delle caratteristiche edafiche, espositive ed antropiche dell’area indagata.
In alcuni casi non è stato possibile riferire ad insiemi sinsistematici diversi frammenti di vegetazione (prati aridi), a causa del loro continuo rimaneggiamento d’origine antropica e del pascolamento dei daini.
Dal punto di vista fisionomico - strutturale sono state individuate essenzialmente le seguenti tipologie:
a)       Frammenti di boscaglia alta con dominanza di Quercus ilex.
b)      Frammenti di macchia con dominanza di Pistacia lentiscus ePhillirea angustifolia.
c)       Prati di tipo steppico submediterraneo.
d)                Aspetti di vegetazione antropica (pinete, ex coltivi).
La boscaglia alta ricopre all’incirca un terzo dell’area (30 ettari); si tratta essenzialmente di aspetti di degradazione del primitivo bosco di leccio che sicuramente ricopriva un’area molto più grande rispetto a quella attuale.
L’analisi fitosociologica di tali fitocenosi ha permesso un inquadramento nei Quercetalia e Quercetea - ilicis, tuttavia non è stata possibile l’individuazione di unità sinsistematiche inferiori per la mancanza di specie caratteristiche, probabilmente dovuta al notevole grado di antropizzazione dell’area, e soprattutto per il disturbo provocato dalla presenza dei daini che attraverso il pascolamento ha eliminato la maggior parte delle piante erbacee. In tali frammenti, oltre alla presenza di Quercus ilex, è da notare una discreta frequenza delle caratteristiche di ordine e classe, le quali però nello strato arboreo sono ridotte alla presenza oltre che di leccio anche di Fraxinus ornus e Laurus nobilis. Sempre tra le caratteristiche di ordine e classe, sono invece ben rappresentati gli arbusti quali Viburnum tinus, Ruscus aculeatus, Asparagus acutifolius e Arbutus unedo.
Oltre ad essenze inquadrabili nella suddetta fascia, sono state rilevate specie caratteristiche di orizzonti fitoclimatici superiori del tipo dei Quercetalia - pubescentis quali Carpinus betulus, Ostrya carpinifolia, Quercus pubescens e Quercus cerris. Non mancano inoltre alcune specie dei Fagetalia, quali Daphne laureola,presente nei luoghi più alti, freschi e meno disturbati del bosco.
In alcuni siti le fitocenosi sono inquinate dalla presenza di entità estranee a questo tipo di cenosi, quali Pinus pinaster, Aesculus hippocastaneum, Acer pseudoplatanus e Broussonetia papyrifera.
Lungo i versanti dei quadranti esposti a meridione sono presenti frammenti di macchia che raramente superano i due metri di altezza; si tratta di evidenti stadi di degradazione della foresta di leccio e di stadi di rigenerazione su territori, ove la foresta di leccio è stata eliminata dall’uomo. Ciò può essere confermato dalla presenza di Viburnum tinus, Arbutus unedo, e Quercus pubescens. Sono in definitiva fitocenosi dominate dalle essenze più xerofile del contingente dei Quercetalia e Quercetea ilicis, quali Pistacia lentiscus, Phillirea latifolia e Rhamnus alaternus.
In alcune aree maggiormente esposte a meridione sono presenti, oltre alle suddette entità, anche elementi dell’Oleo ceratonium quali Myrtus communis, Ceratonia siliqua, Phillirea angustifolia e Juniperus pheonicea; la maggior parte delle fitocenosi presenta delle chiarie occupate da entità eliofile, ruderali e a volte anche da specie nitrofile.
Le fitocenosi erbacee rappresentano consociazioni in continua evoluzione estremamente frammentate e mosaicizzate nelle quali vanno a comprendersi sia elementi floristici delle praterie steppiche mediterranee (Thero - brachypodietea) sia elementi nitrofili e sinantropici (Secalinetea eChenopoditea).
Viste le sue caratteristiche storico - geografiche e il suo stato di naturalità, il bosco si presenta ottimamente come centro di educazione naturalistica per la provincia di Caserta.  

CONSTATAZIONI SULLO STATO ATTUALE DEL BOSCO DI SAN SILVESTRO

 La zona a foresta sempreverde risulta essere attualmente in condizioni piuttosto critiche a causa dell’alterato equilibrio ecologico dell’habitat imputabile alla presenza dei daini (Dama dama) introdotti circa una quindicina di anni fa con un esiguo numero di esemplari.
Poiché il bosco è circondato da un muro alto più di tre metri, i daini hanno superato a tutt’oggi il numero di 100 esemplari (1995), non essendovi presenti i loro naturali predatori (quali lupi, etc.), con il conseguente deterioramento dell’area. Difatti dai dati bibliografici consultati risulta che un’area di bosco estesa per 76 ettari non può contenere un numero così alto di erbivori.
Nella seguente tabella sono riportati i valori di densità biologica ottimale per il cervo ed il capriolo (il daino è molto più vorace dei due); pur trattandosi di dati riferiti a stazioni forestali dell’Europa centrale, e quindi non direttamente applicabili agli habitat forestali mediterranei, hanno comunque un valore indicativo[5].

Tab. 4 - densità biologica ottimale per il cervo e il capriolo in diverse stazioni forestali dell’Europa centrale (n. capi per 100 ettari):
QUALITA’ STAZIONE

CERVO

CAPRIOLO

Stazioni povere
2
8
Stazioni medie
3,5
11
Stazioni ricche
5
14
Da uno sguardo, seppure approssimativo, al sottobosco si può notare l’alto livello di degrado raggiunto in seguito all’azione dei daini. Tale specie, infatti, si ciba di erbe, foglie verdi, germogli, corteccia di conifere, latifoglie, castagne, ghiande, funghi e frutti di campo[6], perciò non sono risparmiate nemmeno le cortecce degli alberi fino alle altezze raggiunte dai daini; in ogni caso a subirne le conseguenze maggiori sono soprattutto gli arbusti e le giovani plantule di querce, i frassini, i carpini, gli aceri, gli olmi e le piante erbacee. Caso eclatante è la scarsezza di pungitopo (Ruscus aculeatus L.) normalmente molto abbondante nel sottobosco delle foreste sempreverdi.
La pabulazione delle plantule e dei componenti più importanti del bosco diviene un fattore condizionante dell’evoluzione dinamica del bosco stesso giacché impedisce alle fitocenosi il ricambio delle essenze arboree. Essendo quindi assente qualsiasi forma di tournover per le specie arboree, il bosco è destinato pertanto a scomparire negli anni a venire, facendo posto così, se non si interviene con i necessari correttivi, ad associazioni della serie dinamica di degradazione della lecceta, (macchia e gariga). Ciò è già osservabile in diverse zone dove alcuni alberi di leccio (Quercus ilex L.) di alto fusto sono caduti per cause naturali e al loro posto si è insediata una vegetazione arbustiva, più eliofila, a causa del mancato ricambio delle piante arboree per assenza di plantule e di semenzai sufficientemente sviluppati. Se l’azione disturbante dei daini continua a perpetuarsi in queste zone, la vegetazione sarà destinata a permanere allo stadio arbustivo.
Queste chiarie sono presenti anche nell’area esposta a nord, tipicamente più fitta e più chiusa. Proprio in alcuni di questi punti il degrado ha causato l’insediamento di cespugli di rovo (Rubus sp. pl.), comunemente presenti lungo i margini dei boschi piuttosto che nelle zone più fitte e chiuse.
E’ da notare che l’azione dei daini, risparmiando le piante erbacee ed arbustive tossiche e velenose, ha provocato una maggiore proliferazione di queste ultime. Un tipico arbusto velenoso, abbastanza raro a queste altitudini, indicante una maggiore mesofilia del bosco, è la Daphne laureola L., comunemente nota come “Olivella”, che invece oggi è molto abbondante in questa fascia. Ciò si è verificato anche per il gicaro (Arum italicum Miller), pianta velenosa contenente un principio attivo tossico e volatile, “l’Aroina”, un glucoside che scindendosi libera acido cianidrico, zucchero e grassi[7], e inoltre si è verificato per l’Euphorbia peplus che si è affermata nelle grandi radure e ai margini del bosco lungo i sentieri. Tale euforbiacea può provocare difatti gravi disturbi alla digestione a causa del lattice velenoso contenuto nei fusti e nelle foglie.
Altre piante, come gli arbusti sempreverdi tipici della vegetazione mediterranea e presenti dove il bosco si apre e lascia spazio alle specie più eliofile, hanno resistito all’azione devastante dei daini, per il loro sapore sgradevole (ad ogni modo aromatico) nonché per la loro sclerofillia.
Le specie erbacee che sono state rilevate, erano presenti nel prato del giardino pensile antistante il Real Casino, nelle radure recintate e lungo i bassi muri di tufo, dislocate lungo i sentieri ove hanno evidentemente trovato rifugio. Proprio sui muri e sui ruderi, oltre alla normale flora ruderale si osservano alcune specie tipiche del sottobosco che lì hanno trovato modo di sottrarsi alla voracità dei daini; non è difficile difatti osservare individui di Ruscus aculeatus L, Cyclamen repandumSm., Asparagus acutifolius L. con portamento “muricolo”.
A titolo di esempio può essere esaminato il rilievo n°10 della Tabella 6, effettuato in una radura antistante il Casino di caccia, recintata e pertanto inaccessibile ai daini. Dal confronto con i rilievi n°2 e n°7 della medesima tabella, effettuati in radure simili alla precedente ma frequentate da daini, si può facilmente osservare il rapporto tra il numero di specie presenti in questi ultimi rilievi con il precedente; si comprende  come il normale processo dinamico - evolutivo di tali aspetti vegetazionali sia inibito e congelato in uno stadio reso anomalo dalla continua attività degli erbivori immessi nell’area.
Va infine ricordata la presenza nel bosco dell’Ailantus altissima Miller Swingle, albero importato dalla Cina durante il secolo scorso, che nei nostri territori ha assunto il ruolo di infestante anche per il suo grado di adattabilità ai nostri climi, oltre che per la sua grande prolificità. La stessa considerazione vale per la Robinia pseudoacacia, una pianta americana che molto probabilmente è la più fortemente infestante nei boschi nostrani.

ASPETTI NATURALISTICI DEI VERSANTI SETTENTRIONALI DEI MONTI TIFATINI

L’area, vasta circa un migliaio di ettari, è posta al confine orientale della strada provinciale di Caserta, condivisa dai Comuni di Caserta e Castel Morrone. L’altimetria dei luoghi varia tra i 100 ed i 620 metri s.l.m.
Il clima è quello tipico temperato mediterraneo, con inverni miti e piovosi ed estati calde e secche; raramente si scende al di sotto dello zero. Peraltro la vegetazione boschiva e la natura umida del suolo creano un microclima specifico, dall’escursione termica attenuata con estati più fresche e meno siccitose.
La natura geologica delle rocce è calcarea, le cui componenti carbonatiche favoriscono un paesaggio carsico caratterizzato da doline[8] e numerose fonti.
Predomina una morfologia aspra, fatta di gole e dirupi, picchi e dorsali, interrotti a tratti da ridenti piane intramontane assai ricche di acque e di prati, che contrastano in modo pittoresco con la copertura boschiva dei rilievi.
I rilievi effettuati confermano la presenza di almeno 14 fonti le cui acque affluiscono in profondi valloni afferenti il Fiume Volturno. Si tratta di punti di limitata estensione, vulnerabili ed assai rari, la cui idrometria non è completamente nota ma la cui portata dovrebbe mantenersi generalmente inferiore ai due litri al secondo.
L’area è dominata da boschi cedui di origine recente, la cui superficie, a partire del Medioevo, è stata più o meno periodicamente messa a coltura. Siamo d’altra parte nelle vicinanze dell’antica città longobarda di Caserta Vecchia; l’attività agricola è quasi completamente scomparsa ma l’ambiente semi naturale conserva le tracce del primitivo lavoro umano: radure pascolate, cultivar abbandonate, terrazzamenti, muretti a secco ed alberi di vimine (Salix viminalis) che testimoniano la tradizionale operosità contadina.
Oggi lo sfruttamento della risorsa naturale si limita alla ceduazione del bosco, una forma di governo che sostanzialmente modella, e talvolta minaccia, il paesaggio settentrionale dei Tifatini. Così le fasce boscate vengono di tanto in tanto aperte da radure caratterizzate dalla presenza di alberi che superano il secolo di vita. Tecnicamente siamo in presenza di una foresta di caducifoglie termofile dell’Appennino (Quercetalia pubescenti – petrae, Quercion pubescenti-petraeae) a prevalenza di roverella (Quercus pubescens) con presenza di cerro (Quercus cerris), farnia (Quercus robur) e castagno (Castanea sativa).

 Sorgenti e abbeveratoi
 Gli abbeveratoi e le numerose sorgenti rappresentano gli habitat caratterizzanti fortemente il versante settentrionale dei Tifatini. Se ne descrivono alcuni.
La Fontana Linara è una ricca sorgente perenne facilmente accessibile dall’abitato di Pozzovetere. Le acque, di elevata qualità, sono captate da cannelle e raccolte in piccole vasche da dove tracimano, formando l’omonimo torrente Linara. Qui, a dispetto del negativo impatto antropico, sono stati rinvenuti la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina tergidata) ed il granchio di fiume (Potamon fluvitale) ed inoltre è stata segnalata la testuggine di Hermann (Testudo hermann).
La Fonte Fusaro, contornata da tigli e ciliegi, è immersa in una breve formazione di pioppi (Populus nigra) con presenza di salice bianco (Salix alba), prugnolo (Prunus spinosa), edera (Hedera elix), rovo (Rubus spp.) ed equiseto (Equisetum Tolmateja).
La struttura coetanea dei pioppi ne suggerisce il taglio periodico. Qui l’acqua sorge in modo diffuso, si raccoglie e scompare poco a valle per ricomparire nel Vallone Corticella, dove sono stati segnalati diversi esemplari di granchio di fiume. A poca distanza dalla fonte un antico abbeveratoio è sede del tritone italiano.
La Fonte del Carpine e la Fonte del Fico sono esempi notevoli della bellezza espressa dalle sorgenti naturali dei Tifatini.
La Fonte del Carpine, immersa tra le roverelle (Quercus pubescens) del piano arboreo, viene arricchita dal carpino bianco (Carpinus betulus), dall’equiseto (Equisetum tolmateja), dall’Orchis italica, dalla ginestra di Spagna (Spartium juncheum), dalla stracciabrache (Smilax aspera) e dal biancospino (Crategus monogyna). Anche qui è stato rinvenuto il granchio di fiume e nelle immediate  vicinanze una popolazione stabile di tritone italiano.
La Fonte Perticara non è identificata dalla cartografia militare. Si tratta comunque di un punto umido di notevole interesse; le acque, quasi sempre rapide ed abbondanti, sgorgano a poca distanza dalla Fonte Virgo (attualmente non attiva) per raccogliersi nel Vallone Corticella. A breve tratto dalla fonte, è stata rinvenuta la presenza del granchio di fiume.

 Le Doline
 La particolare conformazione geologica del sito ha generato la formazione di tre doline di crollo, denominate localmente “Comole”. In particolare si riconoscono la “Comola grande”, la “Comola piccola” e la “Comola lampa”; quest’ultima è scomparsa perché purtroppo utilizzata impropriamente come sversatoio di rifiuti solidi.
La “Comola grande”, per diamentro, vanta il primato della seconda dolina di crollo più grande d’Europa; infatti, ha un diametro di circa 300 metri per una profondità di circa 100.
Tuttora purtroppo queste formazioni non sono state esplorate a fondo; di fatto, se ne conosce la forma ma non è stato ancora possibile condurre uno studio particolareggiato sui probabili endemismi vegetali ed animali. Grazie al loro raro e caratteristico microclima non è da escludere la possibile presenza di organismi di notevole interesse, quali il geotritone italiano (Hydromantes italicus).
L’importanza di queste formazioni geologiche è stata riconosciuta formalmente dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali che, con decreto del 19 aprile 1996, ai sensi della legge 1497/39, ha dichiarato il notevole interesse pubblico delle località denominate “Comola grande” e “Comola piccola”.
Secondo la motivazione ministeriale …La zona in questione interessa la parte sud-occidentale dei monti di Castel Morrone e presenta le macroforme più caratteristiche del carsismo proprio attraverso le due depressioni carsiche scientificamente denominate doline e comunemente qui definite “Comole”, nelle quali la fauna è tipica delle pareti calcaree strapiombanti, gheppi, taccole, piccoli Passeriformi e uccelli notturni mentre la flora è rappresentata da superstiti vegetali costituenti un tempo antiche foreste mediterranee di roverelle, corbezzoli, mirto, lentisco che hanno lasciato il posto ai coltivi circostanti, da relitti di bosco mediterraneo rappresentati da varie specie di fillirea e da lecci, da rigogliosissimi polipodi (felci), da capelveneri con forme di grossi candelabri contornate da una fitta popolazione di edere, muschi e licheni, costituendo un ambiente dai mutevoli aspetti e dagli scorci visuali di grande bellezza dovuti anche alla particolare orografia con pendii e profonde valli che rendono incomparabile il valore ambientale dell’insieme”.



[1]     Cfr. S. PIGNATTI, Flora…, op. cit.
[2]     Cfr. TOUTIN et AL., Flora Europea, 1964 – 1980.
[3]     Cfr. S. FIORI, Nuova Flora Analitica d’Italia, 1923 – 1929.
[4]       Cfr. C. Cappelletti, Pignatti, 1976.
[5]W.W.F. e C.F.S., 1992.
[6]       Cfr. SHWAMMBERGER, 1985.
[7]       Cfr. VIOLA, 1968.
[8]     Depressioni carsiche dovute all’azione delle acque meteoriche nelle rocce carbonatiche.

sabato 17 dicembre 2011

Anticipazione/ sul periodico Gurù l'intervista sul brigantaggio postunitario



CASSINO - E' in uscita "Gurù", periodico dell'Alta Terra di Lavoro. Per i lettori del nostro blog lanciamo una succulenta anteprima pubblicando l'intervista che Giorgio Giovinazzi ha realizzato all'amico Fernando Riccardi, giornalista e storico autore del libro "Brigantaggio postunitario. Una storia tutta da scrivere". Tema dell'intervista è proprio il brigantaggio, fenomeno analizzato nel dettaglio tra motivazioni, personaggi e fatti salienti di uno dei periodi più tormentati del nostro Sud. Gli anni dell'occupazione militare, seguiti alla conquista delle Due Sicilie, gli eccidi, i massacri, le violenze che precedettero le ingiurie, le infamie, il sottosviluppo e l'emigrazione. Ringraziamo gli amici di Gurù per l'anticipazione e vi auguriamo buona lettura.

c.s.



Inquadriamo storicamente e sociologicamente il problema

Il brigantaggio, con riferimento a quello del periodo postunitario, infiammò tutto il meridione d'Italia, con la sola esclusione della Sicilia, dopo la venuta dei garibaldini prima e dei piemontesi dopo nel sud della Penisola. Tra recrudescenze ed assopimenti andò avanti per dieci lunghi anni, dal 1860 al 1870, ad anche di più. A dimostrazione che non si trattò di un fenomeno puramente delinquenziale come per tanto tempo ci hanno fatto credere. Alla fine di una lotta durissima e senza esclusione di colpi su entrambi i fronti, una vera e propria guerra civile aspra e sanguinosa, con italiani che combattevano e uccidevano altri italiani, nel sud d'Italia sono rimaste ferite profonde e lacerazioni insanabili che hanno alimentato in maniera fin troppo evidente il fenomeno dell'emigrazione, un altro dramma tipicamente meridionale. Se oggi ancora si parla di una 'questione meridionale' ben lungi dall'essere risolta le cause vanno fatte risalire anche e soprattutto a quel terribile decennio quando le popolazioni del sud vennero oltraggiate, derise, vilipese, calpestate e trattate alla stregua di incivili tribù aborigene dell'Africa nera”.

Le motivazioni che portarono la gente del meridione a parteggiare per i briganti

“Nel decennio postunitario si verificò un qualcosa che mai si era visto nella lunga e tribolata storia del meridione. La gente, la gente normale, stanca di subire sulla propria pelle angherie e vessazioni, si ribellò violentemente ad uno stato di cose ingiusto ed iniquo, molto più di quello che avevano sopportato in precedenza. I nuovi padroni scesi dal nord si dimostrarono subito prepotenti, dispotici, arroganti. Venivano nel sud ad imporre leggi, usi, costumi che non appartenevano al meridione. E li imposero con la forza delle armi, a suon di fucilazioni e deportazioni. D'altro canto i meridionali erano 'affricani' e come tali andavano trattati. Fu per questo che scoppiò virulenta e selvaggia la rivolta. 'Fummo calpestati e ci ribellammo' così scrisse Carmine Crocco, il più famoso dei briganti postunitari, nel suo  diario. Un intero popolo prese le armi, salì in montagna e si oppose all'invasore piemontese. A quel tempo, come ebbe a scrivere Franco Molfese, le genti del meridione non avevano molto da scegliere: potevano vivere in ginocchio oppure morire in piedi. In molti, in quel drammatico decennio, scelsero consapevolmente di morire in piedi, di morire da briganti”.

Gli errori e le ipocrisie della storiografia tradizionale

Non si è trattato di errore ma di una impostazione fortemente voluta. La vulgata storiografica dominante per tanto tempo ha tenuto nascosta o minimizzato la verità sul brigantaggio. E lo ha fatto scientemente. Non si voleva, infatti, intaccare in nessun modo la luminosa parabola che portò nella seconda metà del XIX secolo all'unità d'Italia. Né si voleva correre il rischio di far passare in secondo piano l'azione 'eroica' dei vari Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II di Savoia, i cosiddetti 'padri della patria'. Sulle loro mirabolanti imprese non dovevano addensarsi ombre o macchie di sorta. Per questo non si doveva parlare della guerra civile che infiammò il meridione dopo l'unità e che venne debellata solo dopo dieci lunghi anni. E se proprio non si poteva fare a meno di parlarne, allora la vicenda andava sminuita, ridimensionata e, soprattutto, ridotta ad una mera estrinsecazione delinquenziale, senza alcuna connotazione di natura sociale e politica. Per fortuna le cose sono cambiate e oggi si tende ad analizzare questo fenomeno con più attenzione e meno pregiudizio. Grazie anche agli studi faticosi di chi ha speso la sua vita, primo fra tutti Franco Molfese, alla ricerca di una verità storica che non poteva tardare più di tanto a venire fuori. I ringhiosi molossi dell'ortodossia risorgimentale sono stati costretti a battere in ritirata ed a piegarsi alla forza proprompente ed inarrestabile di quella che da più parti viene chiamata operazione verità”.

E' possibile oggi avere un'idea corretta e non politica del fenomeno?

Ogni accadimento storico è indubbiamente anche politico e come tale va inquadrato. Quando però si tende a falsificare la realtà storica, quella realtà che promana dai documenti di archivio che vengono fuori ormai a getto continuo ed in quantità industriale, si compie un'opera di gretta ed inaccettabile mistificazione. Per tanto tempo sul brigantaggio è stata calata una densa patina di oblio. Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate e con il passare del tempo, sono convinto, che miglioreranno sempre di più. Ormai il meccanismo è stato messo in moto e non si potrà più tornare indietro. Anche perché la verità è sempre difficile da soffocare e prima o poi torna a galla. Se ciò è stato, e sarà, possibile, il merito va soprattutto a chi tanto si è speso in tale direzione ed è andato avanti per la sua strada senza aver paura di subire stroncature, umiliazioni e reprimende da parte di chi è ancora convinto di essere il depositario assoluto ed incontrastato della verità storica”.

Cosa consiglia a chi vuole iniziare a saperne di più sul brigantaggio? Dove e come documentarsi?

Innanzitutto è indispensabile mettere da parte i testi  scolastici, o almeno una gran parte di essi, che sono ancora imbevuti di retorica risorgimentale fino al midollo e che, pertanto, offrono un quadro artefatto del brigantaggio. Un aiuto prezioso può venire dalla lettura di libri improntati al revisionismo che, in quanto tali, offrono una versione non convenzionale, ma proprio per questo più calzante alla realtà, del fenomeno. Anche in questa direzione, però, è bene procedere con molta cautela e con i piedi di piombo: non tutti i testi cosiddetti revisionisti, infatti, hanno il pregio della attendibilità storica. Per cui, a mio avviso, chi vuole documentarsi su tale fenomeno, che è molto complesso e che offre una miriade di sfaccettature e di implicazioni difficilmente inquadrabili in categorie stereotipate, deve per forza di cose iniziare a frequentare gli Archivi di Stato. Qui potrà trovare un mare sconfinato di documenti che, pur provenendo in larghissima parte da fonti ben precise e tutte collocabili sul fronte dei vincitori (polizia, esercito o prefettura), tuttavia riescono ad inquadrare il fenomeno con sufficiente chiarezza. E' proprio dall'analisi accurata di questi documenti che si riesce ad avere un quadro preciso sui ciò che accadde nel meridione della Penisola in quel drammatico decennio che seguì l'unificazione. Da lì e solo da lì si deve partire per intraprendere un percorso scevro da condizionamenti di sorta e da perniciosi retaggi di natura ideologica”.

Da dove viene la sua passione per questi temi?

Dalla convinzione che il periodo risorgimentale non è stato tutto rose e fiori, specialmente per il meridione d'Italia che ha pagato un prezzo pesantissimo al processo di unitaficazione. Indagando su quelle vicende mi sono ben presto ed inevitabilmente imbattutto nel brigantaggio che mi ha subito affascinato. Sono rimasto colpito soprattutto dalla lotta dispertata, senza quartiere e senza speranza, che i contadini del meridione hanno inaggiato con i soldati piemontesi. Dal coraggio con il quale molti figli del sud sono andati a morire per difendere la loro patria, la loro famiglia, la loro religione, i loro costumi, in una parola la loro dignità che veniva spietatamente calpestata da stranieri venuti dal nord che pure li chiamavano fratelli. Sono trent'anni che mi occupo di brigantaggio e ogni volta che leggo un documento di archivio mi emoziono e mi stupisco. E non posso non andare con il pensiero a quei tragici giorni che si conclusero con un immane bagno di sangue. Un bagno di sangue che poteva essere evitato e che invece si volle consumare fino all'ultima goccia. E' proprio da allora che sono cominciati i guai, i problemi per il meridione, quei problemi che ancora oggi, sia pure a distanza di un secolo e mezzo, fanno sentire nitide e tangibili le loro nefaste conseguenze”.

Giorgio Giovinazzi

Il cielo